IL MONDO GRECO di Gaetano Dini

Mitologia dei Greci: il Mondo greco

Il mondo omerico con i suoi valori e i suoi eroi ha influenzato non solo la cultura greca, ma come costante di lungo periodo tutta la cultura occidentale fino al Medioevo.
Il vissuto descritto dai poemi omerici ebbe infatti un rango ontologico di riferimento per tutti i Greci, non avendo essi a disposizione specifici testi sacri e religiosi.
Era quello arcaico l’Uomo Epico che considerava gli Dei come antropomorfi sia nel fisico che nella psiche.
Questo uomo aveva con le divinità un rapporto speculare in cui l’esperienza umana si integrava con quella divina in intima contiguità.

Il gesto insigne specie in battaglia era cercato dall’uomo, ma era aiutato in questo dal divino. Uomini subordinati agli Dei quindi, ma Dei che cercavano nelle azioni degli uomini come in una  sorta di rapporto osmotico il senso della propria esistenza divina.

L’epoca omerica rispecchiava la società greca precedente il formarsi delle Città-Stato, le Poleis. La sua era una società semplice, militare e contadina più che commerciale. Era quello il mondo degli antichi Achei, il popolo degli Eoli. La figura dell’uomo politicamente dialettico formatasi nelle epoche successive, non le era sconosciuta come principio in sé, veniva semplicemente disattesa.

L’uomo arcaico greco, per non parlare dell’Eroe, doveva essere “Kalos kai Agathos”, Bello nelle forme esteriori, nelle membra e Buono, nobile interiormente. Una vita, la sua, vissuta all’insegna e con il dovere della semplificazione lineare e della perfezione geometrica. L’individualismo e il particolarismo greci erano ancora là da venire. L’unico “Homo Novus” del mondo arcaico fu l’Ulisse omerico chiamato a volte per necessità persuasive a proporsi verso gli altri come uomo dialettico e retorico insieme.

Nell’immagine sotto,
“Apoteosi di Omero” di Jean Dominique Ingres (1780-1867), Museo del Louvre, Parigi

La generazione degli Eroi greci che ha preceduto l’epoca della guerra di Troia interrompe il processo di degradazione spirituale umana dell’Età del Bronzo. Con le loro gesta gli Eroi si guadagnano un destino privilegiato, essi infatti non muoiono, ma godono di un’esistenza felice nell’Isola dei beati, l’Elysium, dove regna di nuovo Crono. L’ideale dell’uomo antico era infatti l’Aretè, l’Eccellere. Ma un Aretè eccessivo specie nell’Eroe rischiava di suscitare in lui un orgoglio smisurato, l’Ibrys che portava alla rovina del singolo.

L’uomo greco antico aveva ben chiaro che la lunghezza della propria vita era già decisa dalla “Moira”, il tempo assegnato ad ognuno fino alla propria morte. Quindi il milite antico combatteva sapendo che la sua attività serviva per prima cosa a preservare quella che era l’ “RTA” indeuropea cioè l’ordine cosmico, morale e rituale del proprio mondo.
Ma la perfezione di vita sta per l’uomo nel giusto mezzo.
Come Zeus era il re ed il preservatore dell’equilibrio dell’Olimpo greco, così il Wanax prima ed in seguito il Basileus greci erano i responsabili del benessere dei propri sudditi ed i protettori dei riti e dei diritti tradizionali della propria comunità.
L’uomo dispone infatti della coscienza dei propri limiti e deve quindi praticare la propria virtù nel rispetto dei beni della vita che sono la gioia del presente, la giovinezza, la salute, la lucidità mentale.
La perfezione si realizza quindi in vita, costruendo armonicamente la propria sacralità individuale.

I Lacedemoni furono quelli che si allontanarono di meno dai valori del mondo arcaico, dalla forze delle origini. Ma con il loro quasi scontato destino di morte in battaglia, anche se morte collettiva, preventivata e trionfale, non esorcizzarono mai lo iato esistente tra la vita e la morte.
Infatti nella stessa Odissea Ulisse nell’Ade riuscì ad evocare lo spettro di Achille, il quale disse di preferire di essere sulla terra schiavo di un uomo di pochi mezzi piuttosto che sovrano del regno dei morti.

La tradizione religiosa e morale del mondo arcaico fu erosa nei secoli dal pensiero filosofico e dalla drammaturgia che trasformarono quelle certezze antiche in esercizio intellettuale e talento speculativo il primo, in riduzione interpretativa su base scenografica la seconda. La Filosofia dialettica e la Drammaturgia costituirono infatti i valori fondanti della Paideia greca di epoca classica, al servizio questa della Polis e dei suoi cittadini.
Il valori dell’antica Aretè (Virtù), dell’Etica cavalleresca, del mondo degli Aristoi (i Migliori) vennero infatti progressivamente e inesorabilmente erosi dalle società delle Poleis con i loro valori democratici, i loro sistemi assembleari e le loro discussioni libere. Si entrava così nel Medioevo ellenico, coi sui epos ed ethos, coi suoi ideali di spiritualità olimpica, col suo sviluppo ipertrofico delle arti e delle lettere, col suo incominciare a tendere all’individualismo umano. 

Ma attenzione, era iniziata spiritualmente non la Grecia aulica, ma già quella crepuscolare.
Per l’uomo comune della civiltà classica greca c’era a disposizione la forza dei riti della religione pubblica. Per l’uomo superiore che anelava ad altro c’erano a disposizione i riti misterici. Un faro di civiltà l’epoca classica greca per le generazioni future, un porto delle nebbie per quelle passate.
All’Uomo Eroico dell’epoca arcaica, all’Uomo Politico dell’epoca classica, si aggiunse in epoca ellenistica un nuovo tipo umano, quello del Saggio, coincidente il sorgere di questa nuova figura con la perdita di potere politico e militare da parte della Grecia.
L’uomo di questo ultimo periodo storico non veniva infatti più chiamato ad assolvere compiti di impegno militare e politico quanto era chiamato a cercare di elaborare un modo di vita quotidiano appartato e tendente alla felicità del singolo.


Aretè spartana

Il mondo dorico nella rudezza delle proprie forme esterne e nella realtà sacrale del suo vissuto quotidiano incarnò l’ethos nordico-ario, la fiaccola della tradizione. L’eroismo di ogni cittadino era messo al servizio del destino comune del proprio popolo.
Gli Spartani si sentivano dei singoli che facevano parte di un medesimo sangue e stirpe, di un medesimo spazio e tempo collettivo, di una medesima Polis, questa con i suoi precisi canoni religiosi e familiari. Si sentivano in questo modo in connessione al proprio Genio della Specie.

La società spartana era divisa in tre classi: Spartiati, Perieci (Mercanti, Artigiani…), Iloti (Servi, sono gli altri popoli conquistati). Gli Spartiati erano i cittadini liberi divisi in tre classi: Illei, Dimani, Panfili. I testi non specificano altro.
L’invasione dei Dori (Spartani) era avvenuta anche con il concorso etnico di altri popoli. Lo deduciamo dal nome delle tre suddette classi.

  • Illei erano gli Illiri
  • Dimani era il Demos dorico propriamente detto, gli Spartani.
  • Panfili che significa “Ogni gente” erano le persone di di altre etnie che avevan  partecipato all’invasione dorica (contingenti di Macedoni, greci Eoli e Ioni, altre popolazioni minori limitrofe alla Macedonia, all’Illiria propriamente detta).

Bibliografia
Evola Julius – Rivolta contro il mondo moderno, Ed. Mediterranee
AAVV. – Storia Universale, Vallardi editore
Reale/Antiseri – Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, Editrice La Scuola
Chiosso Giorgio – Pedagogia, dall’antichità all’alto medioevo, Einaudi Scuola

Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Settembre 2021