GLI ANTICHI DEI ITALICI di Gaetano Dini

Il sacro per i Romani nello spazio e nel tempo

Quando gli Indoeuropei, cui appartenevano anche le popolazioni italiche, abitavano le pianure nel Nord Europa, officiavano i loro riti sacri in quello che i Latini chiamavano Lucus, che era la radura cioè il Luogo
della foresta dove filtrava la Luce del sole passando tra le fronde delle piante. Dalla parola Lux deriva il termine Lucus, cioè Luogo della Luce.
Lucus è quindi il luogo magico dove filtra la Luce vincendo la semioscurità del bosco, della foresta.
Quando le future popolazioni italiche migrarono nella penisola italiana, ricca di monti, queste popolazioni pre-romane cominciarono ad officiare periodicamente i loro riti sulla cima di quel monte, il più imponente tra quelli accessibili dai loro villaggi.
Lassù avevano sagomato grosse pietre ricavandone altari e vani per appoggiare la strumentazione necessaria. Per officiare la popolazione saliva in processione, con i sacerdoti, dai villaggi al monte. In un periodo successivo furono costruiti edifici di culto, piccoli templi, non lontano dai villaggi ed in epoca più tarda templi dentro le città.

La Religio era, per loro, l’attenzione scrupolosa posta alle manifestazioni delle potenze superiori nei vari aspetti
della vita quotidiana al fine di organizzare una trama rituale certa da seguire per gestire al meglio il rapporto dell’uomo con la dimensione del sacro.
Il Pater Familias propiziava le forze della natura, gli Indigitamenta, detti anche Numina.
Le preghiere consistevano in formule magiche ripetute più volte in forma di litania, nenia.
Le scadenze rituali di quel mondo agreste erano regolate sul ciclo lunare e su quello delle stagioni. Il tempo infatti si qualificava ritualmente in relazione ai lavori connessi con le attività produttive dalla primavera all’autunno.
Il periodo invernale era lavorativamente inattivo e quindi considerato neutro. Il calendario romano arcaico infatti consisteva di soli 10 mesi, da marzo a dicembre.

Gli Dei Minuti
Le divinità minori presiedevano alle attività rurali maggiori, tre cui: Opi, dea dei raccolti; Libero, dio della fecondità e della vite; Pomona, dea dei frutteti; Conso, dio protettore dei seminati; Fauno, dio protettore del bestiame da lavoro agricolo; Ops Consua, dea della buona conservazione dei prodotti agricoli nei granai.
C’erano divinità specifiche per le opere connesse alle fasi dell’agricoltura: Sarritor per la sarchiatura, Ocator per l’erpicatura, Sterculinus per la concimazione, Sator per la semina, Vervactor per aprire le zolle, Imparcitor per gettare il seme, Reparator per chiudere le zolle, Messor per la mietitura, Convector per il trasporto del materiale agricolo prodotto.
Anche le attività rurali minori del disboscamento avevano i loro protettori: Deferenda presiedeva l’abbattimento degli alberi, Commolenda il taglio dei tronchi in pezzi, Coinquenda la loro squadratura, Adolenda l’incendio delle ramaglie inutilizzate.

Divinità speciali
I Romani onoravano Giano, dio già presente all’inizio dei tempi, signore di tutti gli inizi, i cominciamenti e in questo senso anche dio delle fonti, delle correnti, dello svolgersi degli anni, quindi dio dell’inizio e del termine. Come Giano bifronte era protettore delle porte d’entrata e d’uscita delle città. E ancora padre di tutti gli dei, primo re del Lazio e  avo originario di tutte le famiglie patrizie romane.       
I Lari erano arcaiche divinità romane di natura animistica che avevano anche un culto domestico. Erano protettori della famiglia dentro la casa e fuori di essa protettori dei campi, dei crocicchi, della concordia tra i proprietari ai confini (Compiti) delle loro proprietà. I Penati erano rcaiche divinità tutelari della famiglia. Di questi spiriti della casa si doveva conquistare il favore, evitare l’inimicizia. Di queste forze immanenti era infatti necessario mantenere la benevolenza nei punti cruciali della casa, quali la porta d’ingresso dove passavano le persone, il focolare domestico dove si cucinava e ci si riuniva, la dispensa (Penus) delle provviste che non doveva mai esaurirsi. I Penati non avevano, come del resto i Lari, una rappresentazione antropomorfica determinata. Infine c’era il Numen, potenza, volontà divina, entità superiore indefinita e onnipotente cui rapportarsi con circospezione. Presente nei vari aspetti della vita e diffuso in elementi naturali quali i tuoni, i fulmini, le sorgenti, i fiumi, i boschi, le foreste, era un culto antichissimo dei tempi più arcaici. Un’etimologia ne traduce il termine con “ciò che si muove”. Nell’epoca della personificazione degli dei il Numen divenne attributo di essi come forza, realizzazione del dio, es. Numen Jovis, Numen Martis

Gli dei più antichi

In italia (che non era ancora “Italia”) e nel Lazio c’erano tante altre popolazioni aborigene, antichi abitanti dello spazio del Lazio antico che vivevano come gente sparsa nelle foreste, sui monti; non conoscevano le leggi né l’uso dell’agricoltura. Secondo il mito li incivilì il dio Saturno quando arrivò nel Lazio.  Gli Aborigeni erano uomini forti nati, si tramanda, da tronchi di querce  robuste.
Due le etimologie del nome: “Ab Errigenes”, dal verbo Errare, cioè sarebbero arrivati in quei luoghi dopo aver errato, “Ab Origine” perchè vissero fin dall’origine in quei luoghi.
Ogni popolazione aveva le proprie divinità.

Gli Umbri  erano devoti ai seguenti dei: Ju Pater, lo Juppiter latino; Cubrar (Cupra) divinità ctonia affine alla Grande Madre romana, la Bona Dea. Luoghi di questo culto erano le odierne Cupra Montana e Marittima. C’era poi Mart, analogo a Mars, il Marte latino. Le Tavole Igubine (trovate a Gubbio) menzionano la Triade Jou (Juppiter), Mart (Marte) e Viofonus, equivalente questo al dio Quirino romano. Quirino era antico dio italico sabino il cui nome significava colui che imbraccia e scaglia la lancia. Era infatti in origine rappresentato come una picca, una lancia. Il culto di Quirino venne poi a Roma e qui incarnò la figura di Romolo.

I Piceni adoravano: la dea Cupra (vedi sopra) e dei vari collegati al mondo della pastorizia, dell’allevamento, della guerra.

I Sabini adoravano la dea Vacuna, divinità dei campi e della natura; Flora, dea romana della fioritura dei cereali e delle altre piante utili all’alimentazione; Opi, dea romana della terra e dell’abbondanza. Le tre dee erano di esclusiva origine sabina. Anche Sanco era dio prettamente sabino, protettore dei giuramenti. Erano sabine anche la dea Strenia simbolo del nuovo anno (da cui il termine “Strenna” natalizia) e Vitula, dea della gioia, della vitalità.

Nell’immagine a lato,
la dea Flora di Tiziano Vecellio (1488-1576), olio su tela, Firenze, Galleria degli Uffizi

I Sanniti vivevano la loro vita frugale e dura consumata in un territorio pedemontano senza coste marine. In origine i Sanniti adoravano i Numina, potenti spiriti misteriosi presenti ovunque e che ispiravano timore reverenziale. In seguito, sotto l’influsso romano e greco, divennero devoti di Mamerte, il Marte sannita, dio connesso con la fecondità, protettore dei campi, del raccolto, del bestiame domestico. Mamerte era anche dio della giovinezza maschile divenendo così dio della guerra. Diana, dea della caccia, era cara ai Sanniti così come Angitia, dea della guarigione e della salute.

Gli Etruschi nei  tempi arcaici adoravano entità, spiriti privi di forma (animismo), poi sotto l’influsso greco le divinità assunsero caratteri antropomorfi. La triade divina etrusca era formata da Tinia (lo Juppiter romano, lo Zeus greco), la moglie Uni (la Giunone romana, l’Era greca) e la figlia Menrva (la Minerva romana, la Atena greca). Altri dei importanti erano Turms (il Mercurio romano, l’Ermes greco), Fufluns (il Bacco romano, il Dioniso greco). Dei dell’oltre tomba erano Charun, demone che accompagnava le anime nell’aldilà, corrispondente al Caronte greco, e Tuchulha, demone ostile agli uomini. Entrambi avevano la bocca a forma di becco.

I Liguri in siti sacri montani avevano eretto steli megalitiche oblunghe terminanti spesso con teste umane stilizzate. Queste stele potevano essere dotate di braccia, attributi sessuali, oggetti significativi (pugnali). Alcune di queste sono ancora oggi visibili. Si ipotizza che questi megaliti rappresentassero Dei od Antenati ed Eroi divinizzati liguri (vedi l’analogia con le statue megalitiche dell’Isola di Pasqua). Tra le molte incisioni ricorreva spesso quella del Toro, di certo animale totemico dei Ligur,i e quella del Cigno (Cicnu), altro animale totemico associato, come nella cultura nordica, al culto del sole. Successivamente i Liguri assimilarono miti e credenze religiose provenienti dall’area celtica.

I Veneti praticavano il culto degli elementi naturali in luoghi posti vicino a boschi sacri o all’interno di radure circondate da alberi. I loro riti consistevano in processioni, canti e danze sacre. Doveva essere presente una classe sacerdotale organizzata che era adibita all’accensione di fuochi sacri e al sacrificio di animali. Tra gli elementi naturali di culto rivestiva importanza quello dell’acqua medicamentosa delle sorgenti. Su una lamina antica rinvenuta ad Este si legge il nome di una divinità veneta, Reitia, dea guaritrice e protettrice delle nascite e della fertilità. E’ rappresentata con in mano una chiave, forse per aprire le porte dell’aldilà.


Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Ottobre 2022