EDITORIA OGGI: L’INTERVISTA di Redazione

Questa intervista (pubblicata nel dicembre 2006) traccia il panorama editoriale di circa dieci anni fa.
L’editoria in Italia è cambiata profondamente negli ultimi dieci anni, in particolare con l’arrivo di Internet. Secondo i più recenti dati ISTAT, chi leggeva poco adesso legge ancora di meno, chi leggeva molto ora legge un po’ di più. I dati sono sconfortanti, specialmente se paragonati ad altri paesi, in cui la lettura è un passatempo molto amato. In compenso, da noi si scrive molto, ma molto di più.
Abbiamo chiesto il parere a un editore, Aldo Moscatelli, della Casa Editrice I Sognatori (che è anche scrittore), e a Natascia Pane, agente dell’Agenzia Letteraria Contrappunto.

 

REDAZIONE – 50mila titoli nuovi pubblicati ogni anno, senza contare le riedizioni, librerie che scoppiano, libri buoni che non si vedono- quindi non si vendono- e porcherie in bella vista della divetta del momento o del calciatore: è questo il futuro dell’editoria in Italia?

I SOGNATORI – L’attuale panorama editoriale italiano, a parte rare, preziosissime eccezioni, è un circo, una barzelletta vivente. Addentrarsi nei meccanismi che ci hanno condotto sin qui significa dover rispolverare alcune nozioni di sociologia. Le porcherie di cui parli, ad esempio, vanno a ruba per una serie infinita di motivi; per comprenderli a fondo, occorre procedere a ritroso. Per intenderci: i libri schifosi vendono a palate. Vendono perché pompati da pubblicità e recensioni (spesso truffaldine). Questo significa che la pubblicità ha un effetto sempre più persuasivo sugli acquirenti. Ora il punto è: la pubblicità impone i prodotti, o si fa portavoce delle esigenze dei fruitori? Un tempo c’era un equilibrio fra queste due tendenze, oggi l’aspetto coercitivo prevarica decisamente. Risultato: molti si ritrovano a leggere un libro che non avrebbero mai letto, se la pubblicità non li avesse bombardati con messaggini più o meno subliminali.
Tornando al nostro discorso: se la pubblicità è l’anima del commercio, le case editrici proporranno soltanto lavori appetibili alla massa, indipendentemente dal valore artistico dell’opera. Cosa incuriosisce oggigiorno la gente? Libretti pseudo-scandalistici, volti noti della TV e dello sport, romanzi scritti con gli occhi ben puntati sulle classifiche di vendita (vedi il revival del fantasy). Per esserne incuriosita, la gente deve subire il bombardamento mediatico di certe tematiche e di certi volti. È la solita storia del serpente che si morde la coda. Il paradosso, quindi, è questo: un tempo, per poter vendere il tuo libro, dovevi prima scriverlo e poi pubblicizzarlo. Oggi, invece, devi prima assurgere agli onori della cronaca (rosa… nera… non importa), poi qualcuno ti chiederà di scrivere un best-seller. Il caso di Muccino è eclatante, in tal senso. Se non sei un volto noto, devi seguire la corrente e scrivere qualcosa di accostabile al trend imperante, qualunque esso sia. In questo panorama, per i buoni libri non c’è spazio. Se sei uno scrittore “contro”, e non puoi contare su pubblicità e impatto commerciale, sei fregato. La gente non ti seguirà. Questo è il presente dell’editoria italiana. Quale sia il futuro (me lo chiedono in molti) non so dirlo. Di sicuro sto lavorando duramente per creare qualcosa di nuovo e diverso, genuinamente alternativo (sebbene io detesti questo aggettivo).

CONTRAPPUNTO – Il pessimismo implicito nella domanda è più che giustificato. Sarebbe troppo complesso esaminare in questa sede le dinamiche economiche che giustificano il proliferare (peraltro non nuovo) di queste tipologie di prodotti librari, anche se penso che prestare la dovuta attenzione a questi fenomeni sia estremamente istruttivo. In termini generali, se ci limitiamo a prestare attenzione al fatto nudo e crudo di quel che troviamo in bella vista in libreria, sono d’accordo che non c’è da aspettarsi un futuro molto attraente per il commercio del libro. Ma non bisogna dimenticare che il mercato, per definizione, non ha il potere di imporre alcunché: il successo di un prodotto deriva sempre e solo dall’opzione del consumatore finale, per il quale – volendo tentare un paragone meramente illustrativo – l’atto d’acquisto equivale all’atto di voto in libere elezioni. Insomma, acquistare significa preferire. Ma c’è (fortunatamente per noi!) un altro punto di vista dal quale guardare alla realtà. Ritengo che, come in tutti i mercati, anche in quello del libro la domanda stia diventando sempre più attenta alla qualità reale in luogo della genericità, e sempre più attratta dal duraturo in luogo dell’effimero. È come se l’interesse del mercato si stesse sdoppiando: intanto che le produzioni dozzinali consolidano la propria quota, le produzioni artistiche imparano man mano a posizionarsi negli spazi a loro più congeniali. A patto ovviamente che sappiano riconoscere tali spazi e sappiano autovalorizzarsi adeguatamente. Ed è proprio qui che incontriamo il limite gravissimo dell’editoria di pregio: non nella concorrenza (reputo nei fatti non determinante) dei titoli da bancone, ma nella genericità con cui vengono abitualmente realizzati e gestiti i libri.

REDAZIONE – Recensioni che parlano benissimo di libri che, in realtà, non sono stati neppure letti dal critico, assemblate con la quarta di copertina, l’introduzione, i risvolti… e i complimenti. Falsissime lontano un miglio. Eppure la gente compra soprattutto i prodotti di questo mercato gonfiato. Perché?

I SOGNATORI – Le recensioni truccate, in sé, non generano effetti disastrosi, se lette e valutate da lettori intelligenti. Il problema, più che altro, è rappresentato dai fruitori, non da chi scrive certe cavolate. Nessuno ci impedisce di ignorarli, così come nessuno ci obbliga a tenere accesa la TV, o credere alle baggianate del vicino di casa. La pubblicità e la demagogia non possono nulla contro un cervello sveglio. In un mondo migliore, i recensori disonesti affonderebbero nel mare della propria incompetenza, spinti giù dalla mano pesante dei lettori preparati. Allo stato attuale, molti (troppi) lettori preferiscono pensare col cervello altrui, fidarsi dei consigli elargiti dall’improvvisato critico di turno. Personalmente, sono il primo ad ignorarli. Il loro parere non mi interessa, o mi interessa nella stessa misura in cui tengo al giudizio dei semplici lettori. Come editore, sono già stato ignorato (a volte boicottato) da una serie spaventosa di siti letterari, emittenti radio e televisive, quotidiani, giornali e giornalini vari. E me ne infischio. Preferisco il contatto diretto con i lettori, quelli che il libro lo comprano e lo “vivono”, senza sentirsi obbligati a leggerlo per mere esigenze professionali. In questi mesi ho conosciuto blogger con un bagaglio culturale spaventoso: altro che critici! Per il resto, vedo tanta ignoranza e un gran desiderio di seguire la massa. D’altronde l’Italia non è mai stata un popolo di lettori. Tutt’al più di teledipendenti. E se in TV si parla di questo o quel libro, per quanto schifoso possa essere… ottiene successo, c’è poco da fare. I libri della piccola editoria sopravvivono col passaparola e grazie a internet. Non certo per merito delle librerie, spesso e volentieri fiancheggiatrici dei colossi editoriali, ai quali concedono onori e visibilità, proporzionatamente al disinteresse mostrato nei riguardi delle case editrici meno conosciute.

CONTRAPPUNTO – Qualunque editore appena assennato (o non propagandista) risponderebbe che, se una recensione è positiva, va bene indipendentemente da come e perché il critico l’ha realizzata. Siamo pur sempre sul mercato, e sul mercato contano gli strumenti che fanno implementare i fatturati. Dico questo non per risultare dissacrante e tanto meno per giustificare la prassi indubbiamente aberrante che citi, ma piuttosto per ricordare anzitutto che se si parla di vendite si fa riferimento a numeri. Un mio autore, recentemente, mi ha ricordato che i librai non vendono libri, bensì margini di utile.

REDAZIONE – Come potrà sopravvivere la piccola editoria di qualità, con i problemi di distribuzione che ci sono?

I SOGNATORI – Soltanto attraverso lo sforzo congiunto di editori, scrittori e lettori. Gli editori devono piantarla di pubblicare boiate a prezzi altissimi. Gli scrittori devono piantarla di rivolgersi alle case editrici a pagamento. I lettori devono maturare un senso critico, smetterla di correre dietro agli scribacchini di tendenza soltanto perché “quel tale ne ha parlato bene in TV”. L’etica del lettore è a maglie larghe, lascia passare di tutto. Certa gente arriva al successo proprio per questo motivo: per la superficialità e l’impreparazione del lettore medio.

CONTRAPPUNTO – Non vedo un ostacolo reale nei titoli gonfiati: come dicevo sopra, il punto, per l’editoria di qualità, non è dichiarare guerra all’altra editoria (ma siamo sicuri che nella realtà esistano confini così netti?) bensì comprendere il valore reale del proprio prodotto e tracciare con precisione il profilo del consumatore finale. Ti rivolgo una domanda provocatoria: quanti editori o agenti letterari hai sentito parlare in termini di analisi di mercato relativamente ai loro prodotti? Un’idea personale, che peraltro vedo confermata costantemente nel mio lavoro: l’editoria di qualità ha mezzi in abbondanza non per sopravvivere, ma direi per vivere bene. Se vive di stenti è perché manca di una solida cultura manageriale. Anche a questo proposito, potremmo discutere ore.

REDAZIONE – Prendiamo spunto da Umberto Eco e da Il Pendolo di Foucault: ovvero le case editrici “serie” e quelle per gli autori che pagano un contributo per essere pubblicati. Intuizione profetica o suggerimento, troppi furboni ci si sono buttati. E’ possibile contrastare questo andazzo, sostenuto soprattutto da autori che vogliono pubblicare a tutti i costi? O tanto vale rassegnarsi?

I SOGNATORI – Persino la parola “contributo” è a parer mio una truffa. Sappiamo bene che al lettore non viene chiesto (nel 90% dei casi) di offrire un contributo, ma di pagare per intero le spese di stampa e distribuzione. Non si spiegherebbero altrimenti le cifre astronomiche pretese dagli editori a pagamento (ultimamente su un blog ho letto di una poveraccia alla quale sono giunti a chiedere 7000 euro!). Al di là di questo, ho già avuto modo di spiegare altrove che accettare o meno una richiesta di contributo è fondamentalmente una questione “etica”. La nostra posizione è questa: fare il gioco delle case editrici che obbligano (perché di un obbligo si tratta) gli esordienti a pagare il contributo significa “pompare” denaro nelle loro casse, potenziandole a scapito di quelle (ormai pochissime) che invece non chiedono alcun contributo. Si rafforza, così, un sistema volto a dare spazio soltanto a chi può permetterselo economicamente. Non ci vuole poi tanto a farsi pubblicare in Italia, insomma: basta piegarsi alla logica imperante ed avere un gruzzolo da parte. Ma tra farsi pubblicare senza contributo e il farsi pubblicare a pagamento c’è la stessa differenza che intercorre tra l’andare a letto con una bellissima donna innamorata di te, e l’andare a letto con una bellissima donna che richiede un contributo per le sue prestazioni. Non è un caso, dunque, che in Italia il mercato del libro sia saturo di libri stomachevoli: chiunque, anche senza un briciolo di talento, può farsi pubblicare, basta possedere qualche centinaia di euro, e il gioco è fatto. Farsi pubblicare da una casa editrice che non richiede contributo è molto più difficile, perché edita solo quei lavori in cui crede fermamente. E questo spaventa gli esordienti, che fuggono a gambe levate verso quella concorrenza pronta a dare spazio, come si suol dire, a cani e porci. Comunque, noi non chiederemo mai il contributo: a questo punto, meglio chiudere i battenti e ritirarsi dignitosamente, piuttosto che passare dalla parte del nemico. Noi ce l’abbiamo, un’etica…

CONTRAPPUNTO – Questo è un punto estremamente delicato. Qui non stiamo più parlando solo di fatti oggettivi (di quel che avviene sul mercato), ma anche di fatti soggettivi (di quel che le persone vogliono per sé). Poi bisogna intendersi con estrema precisione su cosa vuol dire pagare per essere pubblicati (e cosa vuol dire non pagare). Infine bisogna considerare seriamente in che senso questo fenomeno sia un problema e per chi. Sulla questione, in Italia c’è una confusione estrema e assolutamente preoccupante, dalla quale quel che non emerge in alcun modo è che il fenomeno dell’editoria a pagamento deriva da una serie impressionante di errori, sia dalla parte degli editori che da quella degli autori. Ripeto, la questione è di una delicatezza estrema, e il punto è che fino a quando gli unici argomenti in campo saranno quelli degli affaristi protesi a trovare tutte le giustificazioni del caso (delle quali peraltro neppure c’è bisogno, dal momento che è più che legittimo che la domanda spropositata di edizioni induca l’offerta di stratagemmi per realizzarla, siccome il mercato ‘vero’ non è in grado di assorbire ancora più titoli di quelli che già assorbe) e degli autori dediti a gridare allo scandalo (senza capire minimamente quale sia la cifra reale del problema e salvo ovviamente finire per seguire quella via), non potrà esserci evoluzione alcuna, bensì solo peggioramento. E questo è veramente grave. Una cosa, comunque, è certa e più o meno nota a tutti: tutta questa mole di titoli non va da nessuna parte, quindi non fa concorrenza a nessuno fuorché a se stessa.

REDAZIONE – I dati della stampa italiana sono tali da lasciare sconcertati: ogni anno quasi 16 milioni di volumi vanno al macero; il 50% dei libri editi vende in media UNA sola copia; solo il 5-6% dei libri pubblicati vende davvero. Per gli altri ci sono (se va bene e sono fortunati) i remainders, col loro mercato superscontato, per i meno fortunati c’è il macero. Cosa fare, in pratica, per sostenere e lanciare un piccolo autore valido? Affidarsi a un buon agente letterario? E le fiere del libro, servono?

I SOGNATORI – Allora è per me fonte d’orgoglio sapere di rientrare in quel 50% che ha venduto più di una copia per ogni libro edito! Scherzi a parte, il guaio maggiore sta nel fatto che alcune case editrici, pur vendendo una sola copia, sopravvivono ugualmente. Il perché è presto detto: chiedendo e ottenendo dagli scrittori migliaia di euro, possono tranquillamente fregarsene dell’effettiva vendita. Se l’esordiente accetta il ricatto del contributo, copre loro qualunque spesa: la vendita diventa così un optional. Cosa che di certo non si può dire per chi, come I sognatori, non chiede un centesimo di contributo. Dateli a me 7000 euro, acquistando i libri del mio catalogo, e vedete cosa combino! Con quei soldi metterei sotto contratto non un solo scrittore, ma cinque o sei! Purtroppo, gli esordienti peccano spesso d’ingenuità. Vogliono essere pubblicati qui e adesso (lo dice uno che ha atteso più di dieci anni per vedere il proprio nome stampato su un libro). Personalmente, so come promuovere un piccolo autore valido. Ma il piccolo autore valido sa come aiutare la piccola editoria valida? Gliene frega qualcosa? Spesso no. L’esordiente diventa così parte del problema.
Le fiere del libro… sì, possono aiutare a vendere qualche copia, ma (in linea generale) se la gente se ne frega della piccola editoria, puoi partecipare a tutte le fiere che vuoi, il problema resterà comunque. Senza contare che manifestazioni del genere presentano sovente costi di partecipazione proibitivi, almeno per le case editrici a basso budget (anche qui si parla di migliaia di euro). Le agenzie letterarie… Cosa fa un’agenzia letteraria? Dietro congruo pagamento, legge il dattiloscritto e offre consigli su come migliorarlo, suggerendo al massimo il nome di qualche casa editrice da contattare. Ma noi de I sognatori facciamo tutto questo da mesi, come al solito senza guadagnarci un centesimo. Gli scrittori che ci spediscono i loro lavori, infatti, non vengono liquidati con due righe di commento. Noi offriamo delle vere e proprie recensioni, lunghe e articolate, volte a offrire suggerimenti in grado di migliorare ogni genere di dattiloscritto.

CONTRAPPUNTO – Bisogna imparare a pensare al mercato come al mercato. Per come la vedo io, un buon agente letterario dovrebbe (sottolineo il dovrebbe) servire più a questo che a mettere in contatto editori ed autori. Ma occorre anche che questo buon agente sia messo nella condizione di operare seriamente, il che – ti assicuro – si realizza estremamente di rado: salvo rarissime eccezioni, gli autori a tutto sono preparati tranne che a un solido confronto con il mercato (molti credono che il loro compito finisca con l’ultima parola del libro, non rendendosi conto che la storia che finisce con l’ultima parola è quella di un dattiloscritto, non di un libro, che è tutta un’altra cosa), e gli editori raramente sono disposti a supportare iniziative collaterali per un solo titolo. Il risultato meno dannoso è quello da te richiamato; il più dannoso è la perdita di fiducia di molti validi autori in se stessi.

REDAZIONE – Il prodotto-libro, al di là della qualità del contenuto, è sempre meno curato: sviste ed errori di grammatica e di sintassi la fanno da padroni, anche nei libri di grandi editori. E’ peggiorato l’italiano degli scrittori, o il talento dei correttori di bozze, o il palato dei lettori, che si accontentano di un prodotto scadente perché non si accorgono che è scadente?

I SOGNATORI – Beh, qualche refuso può capitare, specie se si parla di testi pubblicati dalla piccola editoria. Il problema sorge quando a commettere certi errori è una casa editrice che dispone di fior di correttori di bozze. Non so se le colpe siano da ascrivere ai lettori, agli scrittori o a chi si occupa professionalmente del lavoro di correzione. So però che un buon libro resta tale a prescindere dai refusi, e una boiata di romanzo, anche se formalmente perfetto, rimane una boiata di romanzo anche se visionato da mille correttori di bozze. Che poi molti scrittori non sappiano tenere la penna in mano, questo è risaputo. Ma che importa? Tanto chiunque può essere pubblicato, le porte del circo sono aperte a tutti. Entrate, entrate. Se siete un personaggio già noto, vi basterà reclutare un banale ghost writer. Se siete degli scrittori esordienti, mani al portafoglio: con un “piccolo” contributo potrete compensare la vostra mancanza di talento, e scavalcare i meritevoli che non cedono al ricatto. Semplice, no?

CONTRAPPUNTO – Nulla di tutto questo. Due risposte, una per i titoli da bancone e una per i titoli artistici. Per i titoli da bancone. Sta nella definizione di prodotto da bancone l’esclusione di cure certosine. Del resto, se si vuole che un libro da 500 pagine possa essere venduto a 10 euro comprendendo un congruo margine, difficilmente sarà sufficiente fare appello alle economie di scala: come minimo bisogna porsi seriamente il problema dell’abbattimento sostanzioso dei costi, diciamo così, superflui. Da cui i cattivi correttori di bozze – i quali sono cattivi non perché incapaci, ma perché messi in condizione di lavorare in maniera sommaria. Al lettore del prodotto da bancone, poi, è noto la raffinatezza non interessi particolarmente – sempre coerentemente con la definizione di prodotto da bancone.
Per i titoli artistici. Qui siamo su un altro pianeta. Qui la svista del correttore salta subito all’occhio e una minima caduta di stile basta a mettere autore ed editor sotto processo: l’attesa del lettore è alta, perché l’acquisto è stato orientato da motivazioni di natura per lo più culturale. Tuttavia capita (troppo spesso) di trovare libri ben scritti stampati male in una o più delle loro componenti, ivi compreso il registro linguistico finale. Di chi è la responsabilità? Spesso della routinairetà del lavoro di redazione, ma ancor più spesso (di nuovo ma per ragioni diverse) della necessità di contenere i costi di produzione. Solo che qui, come dicevo, la svista è inequivocabilmente dannosa.

REDAZIONE – Un’ultima domanda per Aldo: nove su dieci autori esordienti si lamentano di non ricevere alcuna risposta dalle case editrici alle quali propongono le loro opere (escludendo, ovviamente, gli editori a pagamento, che rispondono a velocità supersonica). E’ vero, gli editori hanno un sacco di cose da fare; è anche vero che molti autori sbagliano casa editrice, ma costa così tanto una mail- o una lettera- per dire di no con cortesia?

I SOGNATORI – Non capisco (anche questo l’ho già detto altrove) perché un esordiente debba spendere tempo, denaro e speranze nello scrivere e spedire un lavoro, e chi lo riceve possa invece concedersi il lusso di ignorarlo o rispondere con la solita letterina prestampata. È un’ingiustizia atroce. Gi scrittori, validi o meno, non sono delle macchine. Hanno dei sogni, dei sentimenti. Hanno un nome e un cognome, una vita da vivere. Non possiedono un codice a barre tatuato sul braccio, non sono un numero da catalogare e nulla più. Bisogna dar loro soddisfazione, per quanto scadente possa essere il materiale inviato. Una volta mi è stato recapitato un racconto illeggibile sotto tutti i punti di vista, scritto a mano su un foglio A4 con la penna verde!?! Credi che io lo abbia trattato in maniera differente? Niente affatto. Perché la coerenza richiede fatica. Chi non è disposto a sacrifici di tal genere, farebbe bene a mettersi da parte.

Ringraziamo i nostri ospiti e a tutti ricordiamo che la discussione è aperta a chiunque voglia partecipare.