PUSKIN E I MISTERI DELLA “DAMA DI PICCHE” di Redazione
Puskin e i misteri della Dama di picche
Nella prima metà del XIX secolo il tessuto socioculturale russo fu un fitto intersecarsi di tendenze e aspirazioni che trovarono in Puskin la voce più rappresentativa: egli è da molti ritenuto, infatti, il massimo scrittore romanticista russo.
Nacque a Mosca nel 1799, all’interno di una piccola famiglia aristocratica che pare avesse origini nobilissime che la legavano ad un personaggio leggendario, Radsa, vivente a Novgorod alla fine del XII secolo (nota 1). Il giovane scrittore crebbe, quindi, in un ambiente culturale fertile, in cui il padre era stato educato agli scrittori francesi del XVIII secolo, la madre era figlia di un abissino a cui l’imperatore aveva fornito una cultura di alto spessore e lo zio si dilettava a far poesia.
La vita mondana dei genitori viziò il giovane Aleksàndr, dandogli agi e possibilità di incontro con alcuni dei più alti esponenti della cultura russa dell’epoca, quali: I. I. Dmìtriev, N. M. Karamzìn, V. A. Žukovskij; inoltre, grazie alla vastissima biblioteca paterna, Puskin conobbe autori del calibro di Voltaire, Parny, Molière, Ossian, Tasso, Virgilio e molti altri. Già nel 1814, quando lo scrittore ancora frequentava il liceo, sul Messaggero d’Europa apparve la sua prima poesia, per la quale la critica lo elesse come possibile rivale dei due grandi poeti dell’epoca: Bàtjuškov e Žukovskij.
Da allora, lo scrittore divenne noto per un’intensa produzione letteraria in prosa e in poesia, che lo pose sotto le luci della ribalta e ne diffuse lo stile ed il linguaggio, come tra i più fecondi dell’epoca. Appassionato ed empatico con gli spiriti che aleggiavano nel suo paese, Puskin fu però esiliato nel 1824 a causa di alcuni componimenti rivoluzionari. Tuttavia non si perse d’animo e colse l’occasione per viaggiare tra la Crimea ed il Caucaso, fino a trasferirsi ad Odessa nel 1823.Nel 1826 fu richiamato a Mosca dallo zar Nicola II con la scusa di un perdono che nascondeva, in realtà, un tentativo di controllo più severo e paralizzante dell’attività scrittoria del poeta. Durante gli anni immediatamente successivi Puskin sposò sfortunatamente una donna bellissima – ma capricciosa ed amante della vita mondana –, a causa della quale perse tragicamente la vita nel 1837, durante un aspro duello. La produzione poetica puskiniana vide alcuni tra i più apprezzati capolavori della letteratura romantica russa come Ruslan e Ljudmila, Il prigioniero del Caucaso (1820-1821), La fontana di bachcisaraj (1822), I fratelli masnadieri (1821) e l’Evgenij Onegin, un meraviglioso poema in otto canti.
Al di là del suo valore intrinseco come portavoce del Romanticismo russo, Puškin ha assunto negli ultimi anni un particolare rilievo come scrittore massone, portavoce dei problemi del suo tempo. All’epoca di Puškin, infatti, San Pietroburgo contava circa diecimila adepti della società iniziatica (nota2) e Puškin era il massone più celebre del periodo. Il Pikovaja Dama fu quindi ideato e scritto dall’autore nel 1833, durante un particolare periodo della sua vita – noto come “l’autunno di Boldino” – e poi pubblicato nel 1834, all’interno di una raccolta di racconti. La versione finale del suo manoscritto non è mai stata ritrovata; tuttavia quella pubblicata nel 1834 riscosse immediatamente un gran successo, probabilmente grazie alla trama particolarissima.
La storia narra, con una sottile ironia che spesso si mescola ad ambigue note di sarcasmo, il tentativo del giovane soldato Hermann – uomo di pochi mezzi ma estrema ambizione – di appropriarsi di uno strano segreto. Esso ha a che fare con la combinazione magica di tre carte che assicurerebbe la vincita al gioco, ma che risulta custodito dall’anziana nonna di Tomskij. È, questo, il personaggio cardine dell’intero racconto che da il la al susseguirsi delle vicende: nipote della contessa Anna Fedòtovna infatti riesce, col suo bizzarro aneddoto, a sedurre l’immaginazione di Hermann – descritto da lui stesso come un freddo “calcolatore”, solitamente poco avvezzo al gioco – il quale, da questo momento in poi, elabora la strategia per arrivare all’anziana donna e sottrarle la combinazione vincente. Hermann decide, quindi, di sedurne la dama di compagnia – la povera Lizaveta Ivanovna – e di utilizzarla come intermediaria; ma, una volta riuscito ad introdursi furtivamente nella casa della contessa, grazie all’aiuto di Lizaveta che nulla sa del raggiro, si scontra con l’ostinazione dell’anziana, che si mostra decisa a non farsi strappare il segreto ed anzi, spaventata dalle minacce del soldato, stramazza al suolo e muore di infarto. Il suo spettro riapparirà, poi, all’ufficiale per svelare le tre carte, a patto che sposi la giovane Lizaveta e usi la combinazione una sola volta nella vita. Il finale, drammatico, chiude il cerchio del racconto e getta un’ammonizione contro tutti coloro che pensano di poter ottenere la vittoria attraverso mezzi illeciti e senza alcun sacrificio.
Il Pikovaja Dama è un’opera che, pur nella sua brevità, risulta complessa e sfaccettata. Rispecchia fedelmente, infatti, le caratteristiche peculiari della scrittura di Puškin: la forma e lo stile, densi, sono sostenuti da un’espressione poetica e spontanea. L’ambientazione ibrida, costituita cioè da elementi fantastici e da elementi realistici incalza, dando vita a continue rifrazioni delle energie nascoste che Puškin mette in scena. Il carattere di segretezza che ammanta ogni cosa nel racconto di Puškin fa perno su uno strumento importante: le carte da gioco. Spesso, nella superstizione popolare, così come nella tradizione culturale figurativa ed esoterica-simbolica, le carte sono state considerate custodi di antiche verità nascoste. Dense di un simbolismo affascinante e suggestivo, queste semplici tavole colorate sembra velino un linguaggio codificato attraverso cui l’uomo, secondo alcuni esoteristi, potrebbe addirittura riuscire ad interloquire col Divino. Nella novella di Puškin appaiono molti riferimenti all’arte combinatoria di carte, simboli ed elementi occulti. Questo, d’altronde, non deve sorprendere, poiché il periodo a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo costituì un crogiuolo di idee e sistemi di pensiero in fermento, fortemente influenzati dalle dottrine esoteriche. L’intero racconto, però, focalizza l’attenzione sui valori che gli intellettuali del tempo sentivano profondamente e vissero con consapevolezza, illustrando gli atteggiamenti idonei con cui far fronte alle problematiche emergenti dell’epoca. È, questa, una mappatura che si prefigura come una sorta di iniziazione. A tal proposito è bene ricordare che quella massonica è
“un’iniziazione formale, una formalità rituale che segna l’ingresso del profano nella Istituzione che lo accoglie nel suo ambito e che vuole segnare l’inizio di una nuova vita più ricca di morale e di solidarietà” (nota 3).
In questo contesto la novella si dipana su tre livelli disgiunti in cui, ad ognuno dei tre personaggi principali, viene affidata una tipologia caratteriale ed un ruolo a cui assolvere. Il tutto è condito ed esemplificato dai simboli massonici di cui , noto massone russo, era perfettamente a conoscenza. Tre sono, infatti, i protagonisti coinvolti nella vicenda di Hermann e nella sua iniziazione alla conoscenza del segreto, così come tre sono i gradi di iniziazione massonica: Apprendista, Compagno d’Arte e Maestro Venerabile. Nella struttura fortemente gerarchica del Pikovaja Dama Hermann costituisce non solo lo scalino più basso ma, mostrandosi intenzionato a voler svelare l’arcano, aderisce ad un consenso tacito di ingresso in una vita altra. Egli, però, pensa che questa vita altra corrisponda alla ricchezza e all’agio materiale e, nella sua mente limitata, si palesa disposto a tutto pur di superare la coltre che lo intrappola in un’esistenza mediocre.
Secondo Saint Martin il cammino iniziatico si sviluppa attraverso tre momenti fondamentali: un primo in cui all’iniziato viene dato il dono della Saggezza (ma ancora non conosce le fatiche e le gioie del suo viaggio dentro all’anima), un secondo in cui egli può godere dei benefici del dono stesso ed un terzo in cui, grazie agli strumenti ricevuti in dono e grazie alle proprie capacità, egli giunge a svelare l’arcano, la cui scoperta egli ha a lungo sognato. Tale segreto, secondo Saint Martin, è nascosto nei numeri che sono “involucri invisibili degli Esseri come i corpi sono gli involucri invisibili” (nota4). L’intero impianto narrativo del racconto di Puškin, accompagnato proprio dagli stessi numeri a cui si appella Saint Martin si costituisce, così, in salita: se, all’inizio, Hermann sembra addirittura eccedente rispetto alle vicende degli altri personaggi – poiché non gioca e resta per la maggior parte del tempo in silenzio –, grazie all’aneddoto di Thomskij egli entra a far parte del gruppo di coloro che sanno e di coloro che, per conoscere la verità nella sua totalità, dovranno intraprendere un percorso si ricerca, alla stregua dei cavalieri della Tavola Rotonda alla conquista del sacro Graal. Pagina dopo pagina, la sua superbia viene però punita, i suoi tentativi appaiono spesso fallimentari, ogni volta che spera in un gioco facile il destino gli si ritorce contro.
Hermann rischia tutto, perfino la sua stessa incolumità, pur di entrare nell’antica dimora del Gran Maestro (la contessa) e sottrargli la “verità”; striscia lungo i corridoi della casa, si nasconde dietro muri e paraventi, attraversa il suo percorso ad ostacoli e ne valica le barriere che si frappongono al traguardo; ma non è ugualmente capace di perseverare nella pazienza e nella perseveranza e, infrangendo la norma, l’arma da lui conquistata – la combinazione delle tre carte rivelatagli durante l’apparizione dalla contessa – gli si rivolterà contro come un boomerang. Ricorda a tal riguardo Ugo Becattini che:
l’archetipo (nota 5) di iniziazione viene fortemente attivato per garantire una transizione significativa, capace di offrire qualcosa di spiritualmente soddisfacente. Il novizio che affronta l’iniziazione deve rinunciare ad ogni desiderio ed ambizione e sottomettersi alla prova. Deve essere disposto ad affrontarla senza alcuna speranza di successo. Di fatto egli dev’essere pronto a morire; e, benché quanto gli viene richiesto per superare la prova possa essere non gravoso o doloroso, lo scopo rimane sempre lo stesso: quello di creare simbolicamente lo stato d’animo della morte, dal quale possa scaturire lo stato d’animo opposto, cioè della rinascita (nota 6).
Hermann incarna quindi lo stereotipo di colui che “troppo vuole e nulla stringe”. Tutt’altro che pronto ad affrontare la sua personalissima iniziazione ambisce a un successo sicuro e si prepara, a sua insaputa, a pagarne le conseguenze.
Lizaveta rappresenta, con ogni evidenza di fatto, la compagine di valori e qualità umane associati alla luce ed alla positività, nell’equazione secondo cui il bene, contrapposto al male, si rispecchia nel confronto Lizaveta-Hermann. Oltre a tale funzione, ella sembra ricoprire un ruolo importante all’interno della gerarchia massonica: quello a lei affidato è, infatti, il grado di Compagno d’Arte. Assoggettata alla volontà della sua padrona, Lizaveta mostra fin da subito un carattere buono, educato dal tempo, temprato dall’esperienza ed animato da un cuore limpido e puro. La sua funzione sembra infatti, essere quella di condurre sulla scala del percorso iniziatico-esoterico l’anima persa di Hermann, in una sorta di ascensione verso il divino, ovvero verso il segreto dall’importanza vitale custodito dalla contessa. Lizaveta è quindi figura allegorica, simile ad un angelo pronto a guidare il demone Hermann sulla scala della vita.
La “stretta scala a chiocciola” rievoca un’antica suggestione, cara alle tradizioni massonica ed alchemica: la Scala di Giacobbe come simbolo delle virtù umane, specialmente della Fede – definita prova delle cose mai viste – della Speranza, dell’anima e dell’Amore, unica prova della sincerità della Fede. Il Moramarco, che queste qualità ha straordinariamente illustrato nella sua Nuova Enciclopedia Massonica, scrive che
“… la scala offre un simbolismo completo: essa è come un ponte verticale che si eleva attraverso tutti i mondi, permettendo di percorrerne l’intera gerarchia passando di piolo in piolo; nello stesso tempo i pioli sono i mondi stessi, cioè i diversi livelli o gradi dell’Esistenza Universale”.
La contessa Anna Fedòtovna è il personaggio cardine attorno al quale si sviluppa l’intero racconto. È, infatti: colei che custodisce il segreto; colei a causa della quale i due estremi opposti, drammatizzati da Puškin in Hermann e Lizaveta, si confrontano; è, infine, colei che richiama allegoricamente la figura massonica del Maestro, il grado più alto della gerarchia dell’ordine esoterico. L’esperienza sembra, così, aver irrobustito la corazza di distacco grazie alla quale l’anziana donna oppone muro alle richieste del suo assassino. A tal riguardo Harold J.Berry ricorda che ”I massoni credono che il grado di Maestro Massone simboleggi la vecchia età, la quale consente di riflettere felicemente sulla vita ben spesa e di morire nella speranza di una gloriosa immortalità (nota 7)”. E la descrizione della donna, presente in Pikovaja Dama, sembra confermarlo:
“Un giovane arciprete pronunziò il discorso funebre. In espressioni semplici e commoventi egli rappresentò il sereno addormentarsi della pia donna, per la quale lunghi anni erano stati di una calma edificante preparazione a una fine cristiana”.
Il suo seme di appartenenza – le picche – simboleggiano, nella mantica delle carte, sia l’elemento “aria” sia la lettera Vau del Tetragramma (nota 8), che sta ad indicare “stabilizzazione della forma, unione armonica del femminile e del maschile, l’azoto (nota 9)”. Quest’ultima identificazione è importantissima per capire il possibile nesso di tutte le vicende del Pikovaja Dama e leggerlo in chiave simbolica. Se infatti la contessa rappresenta, come sopra indicato, “l’apertura e la chiusura del cerchio” e la causa ed il fine del percorso iniziatico intrapreso da Hermann e Lizaveta, in analogia con la sua funzione allegorica della lettera Vau, ella allora simboleggia anche l’androgino: stabilizzazione della forma, unione armonica del femminile e del maschile. I suoi tratti somatici e simbolici lo rivelano, dato che risulta ovvia la commistione di elementi femminili e di altri marcatamente maschili. Inoltre, facendo riferimento al legame sopra citato tra la figura della contessa e quello della Donna di Picche ne consegue uno ulteriore tra la contessa e la regina di spade. Come il bastone e lo scettro, la spada esprime inoltre potere. Nel libro Simbolismo massonico di Vincenzo Tartaglia si legge infatti:
“(L’immagine della) spada contro il cuore del profano esprime la relazione occulta tra l’anima (cuore) e lo spirito (spada): questo è il maestro, il protettore ed il consigliere dell’anima, ma è parimenti l’entità che giudica e punisce. Allude quindi alla severa punizione, che lo spirito infligge all’anima infedele e deviata (nota 10)”.
Ed è proprio la contessa-Donna di Picche-regina di spade che sorride beffarda ad Hermann e ne cagiona la follia, immagine facilmente riconducibile all’allegoria massonica della spada inferta contro il cuore del profano. A riprova del collegamento tra la Donna di Picche, la contessa e il 3° Grado massonico di Maestro Venerabile, acquista importanza un altro simbolo che diventa significativo ai fini di una lettura del racconto in chiave iniziatica: la bara in cui la contessa viene adagiata durante i suoi funerali e dalla quale sembra schernirsi del suo stesso assassino. Vincenzo Tartaglia ricorda che:
“(La bara) è il simbolo eccellente nell’Iniziazione al 3° […]. Esprime la resurrezione e la rigenerazione; rappresenta una specie di vascello che trasporta la vita, o meglio le entità che animano il corpo: l’anima (Compagno) e lo spirito (Maestro) (nota 11)”.
È interessante anche notare che “la vecchia” Donna di Picche che fa inorridire Hermann alla fine del racconto, dopo l’estrazione dell’ultima carta, “strizza l’occhio” al profano nel momento stesso in cui egli “muore” allegoricamente (perde un’ingente somma al gioco, cosa che lo condurrà alla follia), esattamente come aveva fatto dal feretro dopo la sua stessa morte. I numeri costituiscono il leit-motif che attraversa ogni pagina del racconto di Puskin. Questo ha portato, infatti, alcuni critici a considerare la novella di Puskin addirittura un trattato di numerologia. Innanzi tutto è bene osservare che i numeri che ricorrono più frequentemente nel Pikovaja Dama sono due: il tre e il sette. Se Puskin mostrò diversi interessi per la Cabala, lo gnosticismo e la Numerologia, il Pikovaja Dama ne rispecchia le attitudini. Perfino uno degli astanti presenti al racconto dell’aneddoto di Tomskij fa riferimento a tale scienza: “«Come!» disse Narùmov, «tu hai una nonna che indovina tre carte una dopo l’altra e non hai ancora imparato la sua cabalistica?»”. D’altronde la propensione per pochi e precisi numeri da parte di un cultore di esoterismo quale Puskin è difficilmente qualcosa di casuale.
Il tre è il primo dei due numeri che si ripetono con insistenza nel Pikovaja Dama. Esso scandisce alcuni momenti cardine del testo e ne caratterizza parecchi elementi suscettibili delle più svariate interpretazioni. Tre è, infatti, il numero delle carte che, nell’aneddoto di Tomskij, garantisce una vincita sicura al gioco; come in uno specchio deformante, tre sono le parole che descrivono le reazioni degli amici di Tomskij alla narrazione dello stesso: ‘sluchai’ (coincidenza), ‘skazka’ (caso), ‘poroshkovye karty’ (carte segnate); tre sono le fanciulle che circondano la contessa mentre ella è seduta dinnanzi allo specchio; tre sono le settimane che trascorrono da quando Lizaveta scorge per la prima volta Hermann dalla finestra della sua stanza; tre sono i delitti che, durante la sera del ballo, Tomskij racconta a Lizaveta avere Hermann sulla coscienza; tre è il numero su cui Hermann è chiamato dalla contessa a puntare per la prima volta; infine, proprio quando Hermann, ubriaco e confuso dopo aver presenziato al funerale della contessa si sveglia e guarda l’orologio, sono le tre.
Il tre è un numero importantissimo nella tradizione esoterica: esso è simbolo della trinità e della perfezione, associato quindi al triangolo, figura geometrica dalle antiche suggestioni meno un quarto. Nella tradizione ermetica, però, il tre esprime movimento che genera energia (nota 12); è quindi dotato di un carattere magico che, per esempio nelle fiabe, conduce l’eroe solitamente a dover superare tre prove. Hermann stesso attraversa tre momenti fondamentali, da cui si sviluppano le sotto-vicende del racconto: la scoperta di un segreto che garantisce la vincita al gioco; l’assassinio della contessa al fine di trafugare il segreto che ella custodisce; la puntata delle carte con conseguente insuccesso. È come se Hermann, quindi, tentasse di sperimentare le condizioni e le esperienze di tutti e tre i gradi massonici (Maestro Venerabile, Compagno d’Arte, Apprendista) scavalcando i tempi e i luoghi adatti. Il numero che, però, ricorre più spesso all’interno del Pikovaja Dama è il sette: sette sono i capitoli in cui si divide il racconto (sei più l’epilogo); quando Tomskij rivela alla nonna che una sua vecchia amica è morta, le dice che è “morta già da sette anni!”; la contessa ha ottanta-sette anni; quando qualcuno chiede all’ossessionato Hermann che ore siano, egli risponde sempre: “le sette meno cinque!”; quaranta-settemila è la somma che Hermann punta alla sua prima giocata; quando Hermann impazzisce viene rinchiuso nel numero dicias-sette; sette è il secondo numero su cui la contessa suggerisce ad Hermann di puntare i suoi soldi.
Il sette, per esempio, ha delle proprietà quanto meno singolari: è indivisibile e i suoi multipli “spartiscono la vita”, come afferma Aristotele. Sette sono i giorni della settimana e il settimo, nella tradizione religiosa, è quello del riposo. Sette sono i gradi della perfezione, i cieli, le gerarchi angeliche, i peccati capitali e, contrapposte, le virtù. Sette è l’uomo, quindi, perfetto: iniziato e giunto alla fine della sua esperienza iniziatica; è l’androgino ermetico, dove la perfezione si fonde nell’accoppiamento degli opposti (nota 13). Il Pikovaja Dama sembra, così, rappresentare un cammino iniziatico con un ben preciso esordio ed un altrettanto preciso epilogo. Una voce narrante – invisibile ma ben presente alle spalle di ogni personaggio – ammonisce colui che, con superbia e per capriccio, spera di raggiungere il traguardo senza sacrifici e con intenti immorali. Quest’ascesa si conclude, all’ultimo, con la caduta del demone negli inferi del torbido e della follia ed è sancita dalle sette epigrafi che, con un evidente rimando alla morte – intesa in senso esoterico sempre come rinascita –, scandiscono i sette movimenti di Hermann l’iniziato verso la fine del racconto. Verso la fine dei suoi giorni.
Autore: Redazione
Messo on line in data: Dicembre 2005
Note bibliografiche
1 – Le notizie sulla biografia dell’autore sono, per la maggior parte, tratte da Ettore Lo Gatto, Storia della letteratura russa, Sansoni Editore, Firenze, 1990.
2 – Dall’articolo “La franc-maçonnerie ressuscite à l’Est”, presente sulla rivista Le Monde, 10 luglio 1990.
3 – Ugo Becattini, , “Iniziazione”, in Il pensiero massonico, Bastogi Editore, Foggia, 1998, pag. 84.
4 – Mercier Sébastien, Martinistes, 1783, pag. 233
5 – L’archetipo è un concetto sviluppato e argomentato Carl Gustav Jung – allievo di Freud – che rappresenta un contenuto inconscio collettivo che si riallaccia al patrimonio storico-culturale dell’intera umanità. Nel libro Alle soglie dell’infinito Giorgia Morietti e Mario Mencarini ne approfondiscono le implicazioni: “Archetipo è un termine già usato presso gli antichi (Filone di Alessandria, Ireneo, Dionigi l’Areopagita) che Jung riprende e trasforma gradualmente. In un primo tempo l’archetipo è visto come contenuto dell’inconscio collettivo, frutto della sedimentazione delle esperienze ripetute dall’umanità nel corso dei millenni, immagini primigenie simili alle idee eterne platoniche. Esse sono da Jung fatte risalire ad un periodo in cui la coscienza ancora non pensava ma percepiva: forme eterne e trascendenti. In un secondo momento […] l’archetipo non è più visto come un contenuto dell’inconscio collettivo bensì una forma senza contenuto. Non un comportamento ma un modello di comportamento. […] L’archetipo, in definitiva, è una pura dinamica che via via si oggettiva per poi nuovamente dinamizzarsi, e così via. E’ il soggetto riflessivo che si dà nell’esperienza conoscitiva e quindi torna a distanziarsi per rifletterla, per poi tornare a darsi in una nuova esperienza portando con sé tutta la conoscenza fatta precedentemente“.
6 – Becattini, Ugo, “Iniziazione”, in op. cit., pag. 81.
7 – Harold J. Berry, What they believe, BTTB, 1990, pag.71
8 – Il tetragramma è il rigo musicale composto da quattro linee, predecessore del pentagramma.
9 – Dizionario Esoterico, lettera J, presente al sito: www.esonet.org
10 – Vincenzo Tartaglia, “La Spada (contro il cuore del profano)”, in Simbolismo massonico, Bastogi Editore, 2003, pag. 99.
11 – Ibid., “La Bara”, pag.92.
12 – Carlo Biagi e Manuela Pompas, I Sogni dell’Anima, Sperling & Kupfer Editori, 2001.
13 – R. Fusi e P. Rosalynd, “Il sette nei dadi e nelle carte”, in Tarocchi un giallo storico, Bonechi Edizioni Il Turismo, Firenze, 2001, pag. 7.