RACCONTO: IL MIRACOLO DI ENZO di Katia
Enzo nacque in via San Michele, nel piccolo paese di Carpeneto, nel febbraio del 1947; a pochi mesi dalla nascita si ammalò gravemente di broncopolmonite. I miei nonni, afflitti, portarono il piccolo all’ospedale di Udine, dove gli venne diagnosticata anche una meningite acuta; ed è così che mio zio cominciò a combattere la sua gran battaglia per la vita… I genitori di mia madre, nel tentativo di salvare Enzo, spesero tutti i loro beni per le cure ospedaliere, ma i medici, impotenti e rassegnati (anche dopo esperimenti sconsiderati), consigliarono di portare a casa il piccolo ormai in fin di vita.
Disperati, ma non rassegnati, non smisero mai di pregare Dio, sperando che il piccolo riuscisse a sopravvivere fino all’arrivo della Madonna Missionaria, confidando nella grazia divina per la vita ormai affievolita d’Enzo.
Carpeneto fu addobbata a festa. Ovunque trionfavano chiazze di colori, le corolle dei fiori abbellivano case, portali e cortili.
Tutte le vie erano pronte al passaggio della Santa Madre, anche via San Michele era accuratamente allestita a festa, i miei nonni diedero se stessi per illuminare la via con il loro amore, ma ci fu un particolare che distingueva l’ingresso del cortile della famiglia Centa dalle altre case: all’entrata trionfava un umile capanno fatto di rami intrecciati fra loro, all’interno del quale era stata deposta una cesta. Venne il giorno del passaggio della Madonna Missionaria; mio zio fu posto nel giaciglio in vimini, nel capanno con lui c’erano due bimbe con candidi vestitini da Angeli.
Otto uomini portarono la statua della Santa Vergine per le vie del paese, mentre un corteo di bimbe angeliche con i bianchi vestiti (fra le quali c’era mia madre) lanciavano petali di rose.
In lontananza i miei nonni videro La Madonna arrivare, fu accolta con un coro di canti e preghiere, e nel cuore tanta speranza…
Il lungo corteo giunse al capanno e si fermò, il parroco si avvicinò al fagottino accudito dagli Angeli, donò la benedizione, ci fu un attimo di raccoglimento, poi lentamente il corteo proseguì il suo cammino.
Il giorno seguente Enzo, per la prima volta dopo parecchi giorni, riprese a mangiare e guarì. Questo fu il primo miracolo che mio zio ebbe…
Ma, dalla testimonianza di mia madre, Enzo ebbe il miracolo più grande dodici anni fa.
Da parecchi anni mio zio vive in un bellissimo villaggio a Pierrefue, in Francia; purtroppo è racchiuso da un grande muro di cinta, dentro ci sono parecchi edifici e fra le molteplici finestre sicuramente ci sarà uno sguardo assorto, ed è quello di Enzo…
Mi rattrista al pensiero che un uomo cosciente di 53 anni sia rinchiuso. E’ vero, l’uomo hai i suoi limiti, e non se ne rende conto, a farne le spese sono esseri indifesi come lui: a cosa serve la scienza se porta a questo? Ma questa è un’altra storia…
Enzo è sempre stata una persona dolcissima, ha l’animo di un fanciullo ed ha un cuore magico; puoi conversare con lui in Italiano o in Francese, ti risponde correttamente in entrambe le lingue, ma amo soprattutto le sue imprecazioni in friulano.
Quanto mi rammarica la sua malattia, che lo lega a quel luogo!
Enzo in certi momenti ha la fissa della fuga, ed è per questo che non gli è consentito di girare liberamente nei giardini del villaggio.
Dodici anni fa, mio zio fu ricoverato all’ospedale di Toulon per accertamenti.
Il primo giorno di degenza fu ricoverato al primo piano; non si sa ancora il motivo, ma dopo alcuni giorni fu trasferito al quinto piano dello stesso stabile. Il giorno dopo Enzo, svegliandosi, convinto d’essere ancora al primo piano, con uno scatto si buttò dalla finestra, per la sua solita fuga. L’impatto con il terreno fu devastante, aveva fratture multiple al bacino, alle gambe, mentre il viso era sfigurato per delle fratture alla mandibola; ci fu l’intervento lo stesso giorno per ricomporre quelle povere ossa.
Durante la notte le condizioni di Enzo peggiorarono; fu sottoposto ad una TAC , e lì con stupore si accorsero che l’arteria all’altezza del cuore si era recisa in due punti. Fu portato a Marsiglia d’urgenza, ormai in fin di vita. Tutto era pronto per l’intervento, ma i medici non diedero alcuna speranza, addirittura non c’era nemmeno la speranza di poter intervenire per la gravità della situazione e per la distanza dei due ospedali. Mia madre, con sua sorella, passò ore interminabili al capezzale in sala rianimazione. Al risveglio Enzo cominciò a scherzare e a sorridere, aveva fame… Ancor oggi i medici non riescono a capire come sia sopravvissuto, non esiste spiegazione scientificamente logica, come abbia superato un intervento a cuore aperto in quel modo.
A Marsiglia lo chiamano “il miracolato”
Tre anni dopo questo fatto, passeggiando con lui nel verde parco del centro di Pierrefeu, abbiamo chiacchierato a lungo, ed i ricordi dei tempi passati andavano a quando da bambina giocavamo a nascondino e lui mi rincorreva con la gamba ingessata, segno di una fuga andata male.
Erano passati diciassette anni dall’ultima volte che mi aveva visto; zio Enzo con rammarico mi guardava, non ero più la sua “petite Eldà”…
Chissà quando smetterà di fuggire.
Nota: ci sono foto del primo caso e alcuni documenti dell’Ospedale di Udine. Nel secondo ci sono testimonianze mediche dell’Ospedale di Toulon e di quello di Marsiglia
Autore: Katia
Messo on line in data: Maggio 2002