RACCONTO: RITORNO di Miryam Marino
Ritorno
Nel 1890 Stefano Andrioli esercitava la sua professione medica nell’ospedale psichiatrico più grande di Parigi.
Una sua paziente, una giovane donna, suscitava in lui una particolare compassione. Forse per la sua età o per la sua avvenenza o per l’espressione dei suoi occhi. Fatto sta che egli non trascurava mai di osservarla ogni volta che aveva occasione di farlo.
La donna se ne stava per il solito raggomitolata nuda sul pavimento. Non proferiva parola, mugolava soltanto un lungo lamento, mentre la sua lunga chioma scompigliata le nascondeva il viso e parte del corpo. Le poche volte che ella sollevava la testa e il suo sguardo brillava tra la trama dei capelli Stefano aveva l’impressione che ella vedesse cose invisibili ai più e che custodisse una chiaroveggenza che però non poteva esprimere.
Quella mattina inspiegabilmente aveva parlato. Lo psichiatra stava cercando di aiutarla a rialzarsi ed ella, guardandolo in un modo inquietante, aveva detto: “Tu non puoi aiutarmi, ma un giorno sarò io ad aiutare te”.
Stefano aveva cercato di farla parlare ancora, ma ella si era nuovamente raggomitolata sul pavimento riprendendo il suo lamentoso mugolio. Uscendo dal suo turno di lavoro lo psichiatra rifletteva ancora su quella strana frase pronunciata con chiarezza da una paziente che non aveva mai articolato parola. Poi la sua mente fu attraversata da altri pensieri. Voleva affrettarsi a tornare a casa perché quel giorno ricorreva il compleanno della sua terza figlia e intendeva comprarle un regalo. Si fermò in un negozio ad acquistare per lei una bambola di ceramica. Gli sembrava di ricordare che fosse stata organizzata una festicciola per la bimba e invitati i suoi compagnucci, ma di questo non era del tutto certo.
Quando però giunse a casa sua si dovette fermare pieno di costernazione. Il giardino che circondava la sua villetta era stato spianato. Non c’erano più gli alberi, né le aiuole fiorite, né la bellissima fenix, né la fontana circondata da pietre, con il muschio che spuntava tra roccia e roccia, né il maestoso eucalipto alla cui base aveva posto una panchina per leggere e riposare alla sua ombra. Tutto era stato spianato e c’era ora solo un mattonato rossiccio alquanto squallido. Chi aveva potuto operare quella distruzione e in così poco tempo? Furioso si portò all’uscio ma quando tentò di aprire la porta si avvide che la serratura era cambiata. Allora cominciò a battere con i pugni sempre più inviperito. Gli aprì una donna sconosciuta piuttosto seccata che gli gridò: “Ma che cosa vuole? Chi è lei?”
Le emozioni che si agitavano nel petto di Stefano andavano dalla costernazione alla rabbia.
“Piuttosto lei chi è e che ci fa qui!” le urlò a sua volta. Poi senza attendere risposta si precipitò in casa.
Il piano terra era vuoto e alcuni operai stavano lavorando, secchi di vernice, scale e attrezzi erano disseminati per le stanze. Salì velocemente al piano di sopra dove c’era il suo studio. Tutte le sue cose erano state ammucchiate in un angolo, le pareti erano riverniciate di fresco. Cominciò a rovistare tre gli oggetti ammonticchiati. Trasse dal mucchio il suo fermacarte, lo teneva sempre sulla sua scrivania, era un bellissimo manufatto d’argento che gli era stato regalato al suo compleanno da sua moglie. Rinvenne il suo portacenere di alabastro, il coltellino per tagliare i sigari, un portafotografie con la foto della sua famiglia…ogni oggetto suscitava in lui una profonda un’emozione. Si arrampicò su uno scaffale e lì c’erano i suoi appunti ancora inseriti in una copertina in pelle e c’era il pacchetto di sigari pieno a metà e l’accendino a forma di cane e tutto era ricoperto di polvere. Mentre si guardava intorno smarrito lo raggiunse un uomo, sembrava arrabbiato e minaccioso.
“Se non se ne va subito chiamo la polizia” gli urlò. Stefano lo prese per il collo. “Chi diavolo siete, che ci fate in casa mia?Dov’è la mia famiglia? Dove sono i miei figli?” La moglie dell’uomo disse dall’altra stanza: “Lascialo perdere, dev’essere un povero pazzo.” Nel frattempo, litigando, erano tornati al piano terra.
Un povero pazzo? Ma se era lui che curava i pazzi, cos’era uno scherzo?
Sarebbe finita male se non fosse sopraggiunto un anziano che si appoggiava al bastone. Era vecchissimo e il suo volto si presentava cosparso di rughe. L’uomo lo lasciò andare e si avvicinò sollecito al vecchio.
“Nonno, non vi stancate, dov’è la badante?”
un tratto Stefano lo riconobbe. Era un bambino che giocava con le sue figlie. Era incartapecorito, ma lo riconobbe lo stesso. “Tu ti ricordi di me?” chiese ansiosamente. “Sono il dottor Andrioli.”
“Mi ricordo” rispose il vecchio “ma è passato tanto tempo, come mai sei tornato?”
“Tornato? Ma se manco solo da questa mattina!”
I due coniugi rimasero ad ascoltare incuriositi. Il bisnonno conosceva quell’uomo.
In preda ad un angoscia sempre più violenta Stefano domandò: “Dove sono mia moglie e i miei figli?”
“Sono tutti morti” rispose il vecchio. “Cosa gli è successo?”
“E’ la vita che li ha portati via, sono morti di vecchiaia, sono rimasto solo io perché pare che la morte si sia dimenticata di me.”
Si svegliò ansante e sudato nel suo letto. Sua moglie dormiva accanto a lui. Ma era un’altra.
Guardandosi intorno nella penombra riconobbe la sua casa che però era un’altra. Piano piano si facevano strada nella sua mente i contorni della sua vita attuale. Si ricordò che non si chiamava Stefano, ora si chiamava Alessandro e non era uno psichiatra, faceva l’idraulico.
Lentamente scese dal letto nella più grande confusione.
La testa gli doleva e si sentiva intorpidito in tutte le membra. Non riusciva a capire qual’era la realtà, se quella che aveva sognato o quella che stava vivendo nel presente. Gli sembravano entrambe altrettanto reali.
Nei giorni successivi Alessandro si sentì sempre più smarrito e confuso.
Si aspettava di potersi risvegliare una mattina qualunque in un posto diverso e in un’altra realtà. E se la vita che stava vivendo fosse stata un sogno? Alla fine non sopportò più lo straniamento che stava vivendo e decise di consultare un terapeuta perché lo aiutasse ad accertarsi che quello su cui poggiava i piedi fosse davvero un terreno solido.
Scartò psichiatri e psicologi perché temeva che costoro interpretassero il suo sogno come un’allucinazione o che pensassero fosse dovuto a uno stato depressivo. Era certo di non essere depresso e di non aver avuto un’allucinazione. Scelse una terapeuta che lavorava con le regressioni guidate. Non sapeva in effetti cosa fossero, ma gli dava l’impressione che costei avesse una mente più aperta degli altri dottori.
Appena entrò nello studio la riconobbe all’istante. Aveva i capelli corti ed era vestita elegantemente, con gusto, ma era lei. I suoi occhi erano gli stessi di quando gli aveva detto che un giorno sarebbe venuta in suo aiuto. Alessandro pensò quasi inconsapevolmente: “Ha mantenuto la promessa”. Ormai non si stupiva più di nulla, se una cosa aveva capito era che esistono infinite possibilità. La constatazione di aver ritrovato in veste di terapeuta la sua vecchia paziente non lo spaventava, piuttosto gli dava sicurezza.
“Lei ha avuto un ricordo della sua vita passata” gli stava dicendo la dottoressa. “Ma non è stato un semplice ricordo, lei è effettivamente tornato in quella vita, è stato lì con il suo corpo astrale.”
“Ma è possibile scavalcare il tempo e tornare nel passato?”
Alessandro era meravigliato, ma assieme allo stupore avvertiva anche una grande rassicurazione. Non era impazzito e la sua vita attuale era reale e aveva consistenza.
“ Si può” assicurò la dottoressa.
“Si può se si ha l’energia necessaria per fare questo. E’ una delle tante possibilità umane quella di indagare l’ignoto e di esplorare che cosa c’è là fuori, oltre il teatrino dove si rappresenta la commedia delle nostre vite.”
Autore: Miryam Marino
Messo on line in data: Luglio 2020