RACCONTO: LA FATA DEL FUOCO E DEL GHIACCIO di Astfelia
Il locale va bene, io e Mauro siamo molto soddisfatti.
Lo abbiamo chiamato “La grotta” e arredato in modo da dare l’illusione che sia appunto una grotta carsica, con finte stalattiti variamente colorate pendenti dal soffitto a volta, il bancone che sembra una sporgenza rocciosa e un gioco di luci soffuse molto suggestivo. Tutto questo ci è costato parecchio, è vero, ma ne è valsa la pena, perché l’idea ha avuto successo e in due anni ci siamo rimessi in pari di quasi tutte le spese.
Aprire un pub è sempre stato il nostro sogno, fin da quando eravamo ragazzi, ma ci mancavano i soldi. Anni e anni fra lavori che non ci piacevano, sacrifici, rinunce e poi finalmente, sebbene non più giovanissimi, ma ormai trentacinquenni, ce l’abbiamo fatta.
All’inizio, nel nostro sogno c’era anche Clara. Per anni abbiamo immaginato con lei il nostro locale: Mauro al bar, lei a servire ai tavoli, io alla cassa e, al venerdì sera, a gestire il karaoke.
Quante volte ci saremo presi in giro:
“Se mettiamo Emilio alla cassa, si frega fino all’ultima moneta!”
“E Mauro al bancone si scola tutte le bottiglie!”
“E Clara a servire ai tavoli? Tutti i vassoi rovesciati addosso ai clienti!”
L’unica cosa su cui eravamo d’accordo era che almeno per il karaoke si poteva stare tranquilli, grazie a me. Vero, mi piace cantare e, fra dischi e microfoni, mi so muovere bene, anche perché, da giovanissimo, ho lavorato per qualche tempo in una piccola radio.
Anche Clara era innamorata della musica, ballava come una baccante e pretendeva anche di cantare con me, sebbene fosse stonata come una campana. Però come negarglielo, quando me lo chiedeva con quegli occhi innamorati di me e della vita? Avremmo cantato insieme mille canzoni, il venerdì notte, in un locale non nostro, sognando di averne uno simile un giorno, mentre Mauro ballava da solo credendosi John Travolta, e invece sembrava un orso.
Ogni tanto ci ritrovavamo a casa di Clara a contare i soldi, ma non erano mai abbastanza, perciò via, verso i soliti lavori: io a scervellarmi con i numeri nello studio di un commercialista, Clara a impazzire in una scuola media, cercando di far trasmigrare qualche nozione d’italiano nelle zucche di adolescenti terribili, Mauro a demolirsi la schiena, caricando e scaricando mobili da una casa all’altra.
Poi Clara si ammalò, ma non ci disse niente e sparì. Quando la chiamavamo per uscire, prendeva a pretesto mille impegni che non aveva mai avuto. A un certo punto ci insospettimmo, andammo a cercarla a casa sua e non la trovammo più. Quando mettemmo praticamente sotto tortura un’amica comune e riuscimmo a sapere da lei che Clara si trovava in ospedale gravemente ammalata, ci precipitammo a trovarla, ma era già troppo tardi. Se n’era andata la sera prima a causa di un maledetto linfoma.
Non aveva voluto saperne di sottoporsi ad alcuna terapia, certa che tutto sarebbe stato vano. Si era lasciata andare, accettando solo i farmaci contro il dolore. Lei così allegra, così innamorata della vita e di me, lei non c’era più.
Mauro e io fummo convocati da un notaio e venimmo informati che la nostra amica Clara ci aveva lasciato tutto quello che aveva: i suoi risparmi e la casa dei suoi genitori, dov’era rimasta a vivere da sola dopo che loro erano mancati, senza mai decidersi a venderla, sebbene fosse troppo grande e dispendiosa per lei.
“Non è molto, lo so”, ci aveva scritto in una lettera. “Ma, se venderete la casa e ci aggiungerete i vostri risparmi, forse riuscirete a racimolare una cifra sufficiente per aprire il locale. Fatelo, vi prego, realizzate il nostro sogno anche per me. Vi amo, Clara”
Non so quante birre ci saremo scolati, Mauro e io, quella sera, piangendo. Lo sapevamo che Clara ci amava e noi amavamo lei, ma non era mai stata la ragazza di nessuno di noi due.
Un’amica molto speciale, questo sì, da sempre.
Mauro, quando era ubriaco, diceva che la voleva sposare. Io ogni tanto la baciavo e annegavo con lei in un oceano di tenerezza infinita, ma poi tornavamo amici e basta, sapevamo che doveva essere per forza così, perché Mauro non mi avrebbe mai portato via Clara e io non l’avrei mai portata via a lui… O forse sì…
Ricordo una sera a casa di Clara, tanti anni fa: avevamo come al solito contato i nostri soldi e dedotto che erano troppo pochi per fare qualsiasi cosa. Dapprima eravamo caduti in preda allo sconforto, poi Clara aveva tirato fuori dal frigo le birre, avevamo cominciato a bere e a ridere di tutto. Sdraiati sul letto di Clara, con gli occhi semichiusi, la mente obnubilata e la musica dei Queen a tutto volume nelle orecchie…
Clara non era bella: era magra, piccolina, con un musetto anonimo da eterna bimba e i capelli rossi sempre spettinati, ma c’era in lei qualcosa di assolutamente irresistibile. Era forse lo scintillio dei suoi grandi occhi nocciola o quel suo modo di muoversi e di ridere, non so. Quella sera, ubriaca, si era messa a ballare in modo molto provocante, lasciandosi scivolare di dosso i vestiti, fino a restare mezza nuda. Era venuta sorridendo verso di noi e aveva baciato sulla bocca sia me che Mauro.
Noi ci eravamo scambiati un’occhiata e capiti al volo: o finiva in una notte a tre, o uno di noi se ne andava, o ce ne andavamo tutti e due. Avevamo optato per la terza ipotesi, era meglio per tutti.
“Perché andate via?”, aveva biascicato lei prima di crollare definitivamente sui cuscini.
“Perché se no ti saltiamo addosso, scema!”
Già dormiva, mentre noi richiudevamo alle nostre spalle la porta di casa sua. Eravamo una triade inseparabile, Clara, Mauro e io.
Io, però, sapevo che il cuore segreto di Clara batteva per me, lo sapevo da sempre, da quando eravamo tutti e tre compagni di scuola e già noi due… A Mauro, lei voleva un bene dell’anima, ma amava me. Perciò avevo io il suo braccialetto d’oro.
Una sera di un milione d’anni fa, lei mi aveva detto: “Mi sta troppo largo, te lo regalo”.
In realtà sapevo che voleva darmi una cosa sua.
Me lo tenni al polso per anni, non me lo toglievo mai, nemmeno di notte o sotto la doccia. Alla fine la chiusura si ruppe.
“Dammelo, te lo faccio riparare io, se no tu ti dimentichi e lo perdi”, mi disse Clara. “Non devi restare senza il mio braccialetto.”
Invece quel braccialetto non l’ho mai riavuto, perché lei si è ammalata e poi è morta.
Dopo il funerale di Clara, dopo lunghi giorni d’insensatezza, nei quali Mauro e io avevamo la sensazione che la vita stessa fosse scomparsa dal mondo, ci costringemmo a rimetterci in moto, come lei voleva. Alla fine ce l’abbiamo fatta ad aprire il locale e tutto è andato nel migliore dei modi.
Sono passati già due anni. Ormai non c’è più bisogno che Mauro stia al bancone e io alla cassa, ci sono i ragazzi per questo, noi possiamo limitarci a sovrintendere al lavoro degli altri.
“La Grotta” va proprio alla grande, ha quell’atmosfera da sogno che avrebbe voluto Clara, se solo lei potesse vederlo… Clara è morta due anni, tre mesi e due giorni fa, alle 23.20. So l’orario preciso perché, fra le lacrime, lo chiesi a un medico, quel terribile giorno in ospedale… Da allora, ogni sera, alle 23.20 precise penso a lei e mi sfioro il polso, come per cercare quel braccialetto che non ho più. L’ho fatto anche stasera, un attimo fa, standomene qui, appoggiato al bancone, con un bicchiere in mano.
La verità è che mi sento solo, è troppo tempo che sto senza una donna.
Ho avuto tante storie, ma nessuna veramente importante. Quando c’era ancora Clara, le donne dopo un po’ mi mollavano, stanche del mio continuo parlare della “mia migliore amica”, del mio portarmela dappertutto, come se non potessi proprio fare a meno di lei. Dopo che lei se n’è andata, hanno continuato a mollarmi, esasperate dal mio ossessivo ricordarla.
A Mauro è andata meglio. Da un anno ha una storia seria con Patrizia, una bella ragazza che ha conosciuto qui al locale. Anche lui non ha dimenticato Clara, ma non è tormentato dal suo ricordo, come me. Io continuo a pensare che, se in passato avessi dato una svolta al nostro rapporto, se mi fossi messo con lei, magari l’avrei aiutata a combattere la malattia, a guarire. O forse no, e sarebbe stato ancora più doloroso…
Guardo Patrizia e Mauro, che se ne stanno abbracciati in un angolo in ombra: sono proprio una bella coppia.
Mauro mi dice sempre che devo svegliarmi e trovarmi una donna, ma adesso mi sembra così difficile…
Improvvisamente una figuretta femminile seduta all’altro capo del bancone cattura il mio sguardo. E’ una ragazza molto graziosa. Sembra una fatina spuntata per magia da qualche regno incantato, così minuta, con quei lunghi capelli biondi ondulati che le incorniciano il visino dalla carnagione chiara e i lineamenti delicatissimi. Osservo il suo abbigliamento: un semplice, leggero vestitino azzurro che le fascia il corpo snello, mettendo in evidenza la vita sottile e i seni rigogliosi. Se ne sta appollaiata su uno sgabello con le gambe accavallate: ha due gambe favolose…
Ma che ci fa quest’incantevole creatura tutta sola nel nostro locale?
Mi guardo intorno, aspettandomi di vedere un fidanzato spuntare da qualche parte, ma nulla, è proprio sola e, inspiegabilmente, mi guarda regalandomi un piccolo, delizioso sorriso. Non sono esattamente “un bello”. Clara diceva che ero dannatamente affascinante, ma lei mi vedeva sotto una luce particolare. Ora lo sguardo insistente e dolcissimo di questa piccola fata mi spiazza e lo ricambio timidamente. Nella luce soffusa del locale intuisco il colore dorato dei suoi grandi occhi e qualcosa scatta dentro di me: il consueto meccanismo del ricordo.
La ragazza si muove leggermente sullo sgabello, con la mano si sfiora i capelli e quel gesto mi sembra infinitamente familiare…
Mauro mi passa accanto e mi molla una gomitata.
“Che aspetti? Quell’angelo guarda proprio te. Assurdo, ma vero.”
“Mauro, l’hai vista? Non ti ricorda…”
Il suo sguardo mi comunica che sto dando i numeri: “Ma falla finita con queste fisse!”
Mi spinge verso la ragazza e mi ritrovo, quasi senz’accorgermene, a un centimetro da lei. Ma sì, Mauro ha ragione, è diversissima, infinitamente più bella…
Mi guarda e mi sorride con grande naturalezza, come se ci conoscessimo da sempre.
“Ciao!”
Shock!
“Ciao…”, e non so cos’altro aggiungere, continuo solo a guardarla come se fosse un’apparizione. Lei continua a sorridere, si sfiora di nuovo i capelli, ma è chiaro che si aspetta che io dica qualcos’altro. E’ ovvio, è così che funziona, è l’uomo che deve attaccare discorso e io sono già in difetto perché lei mi ha salutato per prima. Che le dico? Di solito non vado così in panne di fronte a una ragazza…
Ah ecco: “Ti stai divertendo? Sei da sola?”
Penoso! La sua voce ha il suono del cristallo e mi sembra venire da un altro mondo.
“Aspettavo una persona, ma non si è vista, avrà avuto un contrattempo.”
Chi può essere il folle che ha dato buca a una ragazza così?
“Beh, allora ti posso offrire qualcosa? Ah…io mi chiamo Emilio.”
Mi tende la piccola mano candida che scompare nella mia.
“Piacere, Lara. Prenderei volentieri un analcolico, grazie, sei gentile!”
Mentre faccio segno al ragazzo, mi sento il cuore in tempesta. Lara, come Lara? Lara è quasi Clara! Basta, devo smettere di pensarci, questa ragazza non ha nulla in comune con la mia povera amica, i nomi sono simili per una pura coincidenza, ma non sono uguali!
“Lara… Bellissimo nome…”
“Grazie”, fa un gesto vago col braccio, indicando l’ambente circostante.
“Il locale è tuo, vero? E’ proprio un bel posto.”
Come fa a saperlo? Mi sembra stupido chiederlo, quindi replico soltanto: “Sono in società con il mio amico Mauro, quel ragazzo laggiù, vedi…”, le indico Mauro. “Una volta con noi c’era anche…”, mi fermo in tempo. Basta!
Il suo sguardo dorato mi esorta dolcemente a continuare. Glisso.
“Tu… Non ti ho mai vista da queste parti… E, permettimi di dirtelo, una ragazza carina come te non passa inosservata.”
Arrossisce leggermente.
“Grazie. Sono arrivata da poco tempo, abito qui vicino, ma non mi fermerò molto, credo…”
“Ah, come mai?”
“Mio padre è un diplomatico, ci spostiamo continuamente da una parte all’altra del mondo.”
E ti pareva!
“Capisco. Dunque vivi con i tuoi. Posso chiederti quanti anni hai?”
“Ventitré”, sorride, mentre io mi odio, sorprendendomi a pensare che Clara è morta di ventitré…
“Lo so, dovrei già esser volata via dal nido, ma non ho ancora finito di studiare…”
“Certo. Cosa studi di bello?”
Non lettere, vero?
“Storia dell’arte.”
Però è sempre nella facoltà di lettere…
“Sei iscritta qui, a Roma?”
“No, a Bruxelles, siamo più spesso là.”
Così lontano… Si guarda nuovamente intorno, poi prende la borsetta, dicendo: “C’è bella gente qui, una bella atmosfera…”
Tira fuori un blocchetto e una matita. Mi manca il fiato. Clara aveva sempre un notes nella borsa. Ci scriveva tutto quello che le passava per la testa durante il giorno. Poi la sera si metteva al computer ed elaborava delle storie fantastiche che dedicava a me…
“Qualcosa non va?”, mi chiede la ragazza, vagamente preoccupata, temo a causa della mia espressione.
“No, no. Che… fai?”
“Volevo fare qualche schizzo, ti dispiace? Ci sono tante facce interessanti qui.”
Disegna, ma certo! Studia storia dell’arte e disegna, è normale. Idiota che sono!
“No, anzi… Così… Che farai da grande?”
Certo che è proprio tanto più giovane di me…
“Chi lo sa? Non sono ancora sicura di niente”, sorride e mi punta addosso gli occhi d’oro, il blocco e la matita: “Tu sì che hai una faccia interessante! Ti faccio il ritratto?”
“Ok, se proprio vuoi…”
In cinque minuti riproduce sul foglio i tratti angolosi della mia faccia, il naso aquilino, le labbra incurvate in un imbarazzato sorriso. Mi tende il foglietto con aria orgogliosa: “Ecco, ti piace?”
“Ma sei bravissima!”
“Adoro disegnare. Te lo regalo, così ti ricordi di me.”
E chi ti dimentica? Decido di sfruttare l’occasione che mi si offre su un piatto d’argento: “Allora, magari mi ci scrivi sotto il tuo nome e il tuo numero di cellulare…”
Sorride e scuote leggermente la testa: “Non ce l’ho il cellulare ed è inutile che ti dia il numero di casa, tanto è sempre occupato da papà.”
Messaggio ricevuto: non vuole darmi il suo numero.
“Ma te lo firmo, certo!”
Riprendo il foglietto: ha scritto soltanto “Lara”, sotto il mio ritratto, in una grafia obliqua molto simile a quella di… Vorrei tanto spegnere il mio dannato cervello.
Continuiamo a parlare ancora per un po’ con piacevole disinvoltura. Vengo irresistibilmente attratto dalle piccole efelidi sul suo grazioso nasino e dal biondo chiarissimo dei suoi capelli. E’ un amore, la bacerei. Ma è così giovane…
Lei lancia un’occhiata al piccolo orologio d’oro che ha al polso.
“E’ tardissimo, devo proprio andare.”
“Neanche l’una…”
“Sì, ma sai, i miei genitori sono un po’ all’antica, si preoccupano…”
Non mancava altro.
“Capisco, allora ti accompagno, vuoi?”
“Non ce n’è bisogno, giro l’angolo e sono arrivata.”
Intuisco che forse non vuole farsi vedere dai genitori con accompagnatori sconosciuti.
“Allora ti accompagno almeno fino all’angolo.”
Annuisce, sorridendo. Mentre ci avviamo verso l’uscita del locale, mi sento seguito dallo sguardo soddisfatto di Mauro. Chissà che diavolo s’immagina…
Arriviamo all’angolo troppo presto. Mi sembra che lei barcolli un poco e il suo visino mi appare molto pallido alla luce della luna.
“Sei stanca?”
“Un po’.”
“Allora… Ti rivedo?”
“Sì, certo. Tornerò presto al tuo locale, mi piace, sono stata bene.”
“Sono contento.”
“Sono stata bene anche con te…”, si solleva sulle punte dei piedi, mi dà un bacio veloce su una guancia e fugge via. Lara: un sogno…
Il giorno dopo, Mauro piomba in casa mia come un uragano.
“Dico, sei scemo? Esci con lei dal locale e rientri da solo dieci minuti dopo: ti sei bevuto il cervello?”
“Calma, non è come pensi. L’ho soltanto riaccompagnata fino all’angolo…”
“E perché diavolo…?”
“Lasciami finire, ci sono un sacco di ostacoli. Innanzi tutto ha solo ventitré anni, è troppo giovane per me.”
“E quando mai l’età è stata un problema? Non ci hai mai badato, mi pare, e del resto anche Patrizia è parecchio più giovane di me.”
“Sì, ma non è solo questo. Starà qui per poco, suo padre è un diplomatico e viaggiano per tutto il mondo. Poi, da quanto ho capito, i suoi sono all’antica, non gradirebbero che uscisse con uno tanto più vecchio, non ha voluto neanche che la riaccompagnassi fino a casa, per timore che ci vedessero, credo…”
Mauro sbuffa.
“Ma quante storie! Non è mica minorenne, potrà pur scegliere chi vuole frequentare! Il suo numero almeno ce l’hai?”
“Ehm, no, non me l’ha dato.”
Mauro è esterrefatto. “Emilio, sei una frana!”
“Lo so. Ah, non te l’ho detto: si chiama Lara.”
“Bel nome!”
“Sì, ma…Lara, Clara…”
Lo sguardo spazientito di Mauro sta per: “Dacci un taglio!”
“Sì, lo so, Lara non è Clara e poi che importanza ha? Mi ha detto che ci rivedremo al locale, ma non ci spero troppo. Probabilmente non la vedrò più.”
Invece la ritrovo ogni sera al locale, mi compare davanti all’improvviso, sempre verso le 23.20. Mi sorride, ci scambiamo un veloce bacio sulla guancia, poi restiamo lì, gli occhi negli occhi a parlare, fin quando lei non mi dice che deve tornare a casa, e mi permette di riaccompagnarla solo fino al solito angolo, dove mi saluta in fretta, pallida e quasi tremante.
La sua voce di cristallo è per me come una dolce carezza. Parliamo di tutto, mi racconta i suoi desideri, i suoi sogni di ragazza, il suo amore per l’arte. Mi promette di farmi vedere i suoi disegni, un giorno o l’altro.
Le sue parole mi rivelano un’intelligenza e una sensibilità non comuni, rare qualità che trovavo solo in…
Non passa giorno che qualche suo gesto, non so, il modo di sfiorarsi i capelli, d’inclinare la testa da un lato, di battere le ciglia, non mi riporti qualche immagine di Clara, ma so che non devo pensarci.
Infine perché viene sempre qui alla stessa ora, alle 23.20? Non posso fare a meno di chiederglielo, a un certo punto. Mi risponde semplicemente che solo per quell’ora, la sera, riesce a staccarsi dallo studio e a uscire. Mi rivela anche che, quando ci siamo incontrati, aspettava una semplice amica che poi non è potuta venire, per mia fortuna.
“Così… Non sei fidanzata? Non ci posso credere…”
Ride: “No, non sono fidanzata!”
Il tempo con lei vola via sempre troppo in fretta. E non l’ho ancora baciata… Una sera, mentre solleva il braccio per portare alle labbra il suo drink, mi accorgo del braccialetto d’oro che ha al polso. Le sta un po’ largo e… E’ identico al mio, cioè a quello che mi aveva dato Clara tanto tempo fa.
La razionalità non mi aiuta, non mi suggerisce, come dovrebbe, che esisteranno migliaia di braccialetti di quel tipo.
“Dove hai preso quel braccialetto?”, le chiedo con voce indefinibile.
Mi guarda un po’ perplessa: “Questo? Veramente l’ho trovato per caso in strada. Ma perché me lo chiedi?”
“Nulla, è che è identico a uno che avevo io. Me l’aveva regalato una mia cara amica che ora non c’è più. Poi… l’ho perso.”
Lara mi guarda attentamente: “Sei turbato. Quella tua amica… Le volevi molto bene, vero?”
“Sì, molto…”, non riesco a non dirlo. “A volte tu me la ricordi un poco. Non le assomigli, no, ma certi gesti, certi sguardi…”
“Forse sei tu che la cerchi ovunque.”
Non riesco a sostenere il suo sguardo. Abbasso gli occhi, senza replicare, mentre lei si toglie il braccialetto e me lo tende.
“Senti, prendilo tu. Te l’ho detto, io l’ho trovato, non è mio e non l’ho mai sentito mio. Ho sempre saputo di doverlo restituire a qualcuno prima o poi. Magari io sono un tramite, forse la tua amica vuole che lo dia a te. Su prendilo!”
Ho quasi paura di toccarlo.
“Ma no, non preoccuparti, non credo in queste cose, è solo una coincidenza…”
“Emilio, io ci credo invece. Prendilo, ti prego, fallo per me.”
Ora non voglio quel braccialetto, tutto il mio essere lo respinge, ma non riesco a non esaudire la preghiera che leggo in quegli occhi. “Va bene, se vuoi così…”
Ho di nuovo il braccialetto. Se sia quello di Clara o no, preferisco non chiedermelo, comunque è un altro ricordo di Clara che mi si ripresenta, mio malgrado. Non me lo metto al polso. Lo chiudo in un cassetto, insieme alla cartellina che contiene tutte le storie fantastiche scritte da Clara per me. Se chiudo il cassetto e non lo apro più, tutto resterà imprigionato lì dentro per sempre.
Venerdì sera. Dovrei dare il via al karaoke, ma Lara è di nuovo qui, a un centimetro da me, col suo dolcissimo sorriso sulle labbra, gli occhi dorati fissi nei miei… E io non l’ho ancora baciata.
Stasera è più graziosa che mai: ha i capelli raccolti a coda, indossa un corto abitino bianco molto attillato che le lascia scoperte le spalle, ha un trucco leggero sul viso di perla, un filo d’argento con un ciondolo a forma di stella intorno all’esile collo. Sembra una creatura eterea uscita da una fiaba… Le fiabe di Clara… No, nei suoi racconti non c’erano dolci fate dalle chiome d’oro, ma creature inquiete dai capelli ramati, come lei…
Mi piego sulla mia fatina per sfiorarle la guancia col solito bacio veloce e lei mi butta le braccia al collo, sussurrando: “Sono felice…”
Inebriato dal suo profumo di viola, la tengo stretta a me per un tempo che mi sembra eterno, dimentico di tutto, fuorché del suo magico sorriso e dei bagliori dorati dei suoi incantevoli occhi. Un sogno…
La musica mi esplode nelle orecchie, riscuotendomi bruscamente: è venerdì, c’è il karaoke… No, non esiste! Lei sembra leggermi nel pensiero.
“Allora? Non vai? Non vedo l’ora di sentirti cantare. Sono sicura che sei bravissimo.”
“Senti, stasera mi faccio sostituire, preferisco stare con te. Ti va se ce ne andiamo di qui? Tra poco ci sarà troppo chiasso per parlare.”
“Ma sei sicuro? Non è un problema?”
Le sollevo il viso con un dito sotto il mento. “No, voglio stare con te. E tu?”
Mi sorride con dolcezza infinita: “Anch’io voglio stare con te.”
Lara mi ha detto che stasera non ha fretta di tornare a casa, ha inventato una scusa con i suoi. Questa è una splendida notizia.
Passeggiamo mano nella mano nel tepore della sera di giugno, verso chissà dove. La strada deserta e poco illuminata è tutta per noi, la falce di luna nel cielo limpido ci regala la sua luce discreta. La via che percorriamo sembra pulsare d’una segreta vita sotterranea, l’anonima stradina di città è un romantico viale d’ingresso a un regno incantato. E’ la magia di Lara.
Non mi sono mai sentito così sereno e appagato in compagnia di una donna, se non con…
Basta, ora la bacio. Mi fermo e la prendo impetuosamente fra le braccia. Lei si lascia andare contro di me, come se non aspettasse altro.
“Lara, sei il sogno più dolce che io abbia mai fatto…”, le sussurro sulle labbra, ma sono le sue labbra a unirsi per prime alle mie.
Sussulto a quel contatto: le sue labbra sono morbide come un petalo di rosa, ma gelide. Per contrasto, mi evocano la sensazione del primo bacio di Clara, mille secoli fa, nel cortile della scuola. Era stata lei a baciarmi: all’improvviso mi era saltata al collo con quell’impeto caratteristico della sua natura, e le sue labbra di fuoco avevano catturato le mie.
Io, impacciato liceale, avevo risposto timidamente a quel bacio.
Un attimo dopo avevamo sentito la voce di Mauro che ci chiamava, e ci eravamo separati appena in tempo per non farci sorprendere…
Respingo con rabbia quell’invadente ricordo: Lara, Lara, adesso c’è Lara! Ho le sue labbra stranamente gelide da riscaldare! Mi si offrono, me lo chiedono!
La bacio a lungo con tutto il fuoco che ho, donando alle sue labbra il calore delle mie. Quando mi stacco da lei e guardo il suo viso d’angelo, lo scopro pallidissimo, sento fra le mie braccia il suo corpo scosso da un tremito.
“Amore, cosa c’è?”
Un sorriso incerto. “Amore… Mi hai chiamata amore!”, si stringe di più a me. “Sono così emozionata che tremo…”
E’ troppo tutto questo per me. La tengo avvolta nel mio rovente abbraccio: “Andiamo da me, vuoi?”
“Sì…”
Se ne sta immobile in un angolo del letto. Si è tolta soltanto i sandali argentati e si è sciolta i capelli che ora le ricadono sulle spalle nude in lunghe onde di dorata sensualità. Solleva le gambe affusolate, avvicina le ginocchia al petto, stringendole con le braccia, reclina la testa e socchiude gli occhi, regalandomi un fragile sguardo e un piccolo sorriso. E’ bellissima.
Così dorata e pallida sembra una fata del fuoco e del ghiaccio… Ora sì, ricordo una vecchia fiaba di Clara che parlava di una fata del fuoco e del ghiaccio…
Reprimo a fatica questi nuovi vaneggiamenti. Mi aspetta, che devo fare? Mi sento mancare le forze, percependo la sua immensa tenerezza e il suo immenso freddo nel caldo d’inizio estate. Raccolgo tutto il coraggio delle membra e del cuore per avvicinarmi a lei e liberarla dal suo gelo. Lentamente sciolgo il suo corpo e lo distendo nel mio avido calore.
La serica pelle di Lara, candida e iridescente come la madreperla, s’increspa di lunghi brividi al tocco delle mie mani; il suo giovane corpo tenero e flessuoso come un giunco si muove armonicamente insieme al mio, appagando ogni mio più segreto desiderio. I suoi piccoli gemiti di cristallo scandiscono il ritmo lento del nostro amore…
L’amore con Lara è una sinfonia di sensazioni in cui i suoi capelli, le sue labbra, la sua pelle s’incontrano e si fondono col ricordo dei capelli, delle labbra, della pelle di Clara.
L’amore con Lara è l’amore mai fatto, ma a lungo sognato in un angolo del cuore, con Clara…
Mentre mi ritiro, ansante e sconvolto, dalla sua struggente tenerezza, riesco a malapena a realizzare quanto io sia folle a lasciarmi ancora catturare dal ricordo di una donna morta, avendo con me una ragazza così. Lei si accoccola sospirando sotto le lenzuola, fra le mie braccia e, insieme al mio piccolo amore infinito, sprofondo in un sonno leggero.
Poco dopo l’alba, quando mi sveglio, lei non è più accanto a me. Avrei dovuto saperlo, non poteva restare fino al mattino, ma sarebbe stato così bello svegliarla con un bacio, portarle la colazione a letto… Aspiro il suo delicato profumo rimasto sulle lenzuola e me la immagino scivolar via da casa mia, mentre era ancora scuro, senza fare il minimo rumore, come una fatina. Mi ha lasciato un biglietto sul cuscino: “A stasera, Lara”. Me lo rigiro fra le mani, cercando di non pensare che quella grafia obliqua somiglia tanto a quella di…
La mattinata passa pigramente fra desideri e fantasticherie. Verso mezzogiorno mi piomba in casa Mauro per impicciarsi dei miei affari.
“Allora? Non venirmi a raccontare che non è successo niente. Hai mollato il karaoke, non l’avresti mai fatto senza un motivo più che valido.”
“E va bene, era Lara il motivo più che valido.”
“Quindi state insieme?”
“Penso di sì.”
“Era ora!”, esclama Mauro con gran soddisfazione. “Era proprio ora! E quel fatto che doveva partire con la famiglia, poi?”
“Non lo so, non ne abbiamo più parlato, ma farò di tutto per non farla andar via.”
“Sono contento, ti vedo proprio innamorato. Ora finalmente ti libererai di tutte quelle fisse…”
Sospiro. “Ti riferisci a Clara, vero? Beh, non è così semplice. Lara continua a ricordarmela. A volte è perfino la loro diversità…”
Mauro alza gli occhi al soffitto, sbuffando: “Secondo me ti serve uno strizzacervelli!”
Forse ha ragione, non sto bene di testa.
Rimasto solo, sento il desiderio di telefonare a Lara, ma non ho il suo numero: anche questo non va. Penso alle storie di Clara: vorrei andare a ripescare quella che parlava della fata del fuoco e del ghiaccio, perché non me la ricordo più, ma non voglio aprire quel cassetto. C’è già troppo di Clara nel mio cervello, non serve cercare di più.
Ormai Lara e io restiamo quasi tutte le sere in casa. Sto trascurando il locale, ma so che Mauro non me ne vorrà se, per un po’, lascio tutto sulle sue spalle. E’ troppo bello star qui da solo con lei, non posso rinunziarvi.
Stasera mi ha portato un grande album da disegno con alcuni suoi lavori, quasi tutti paesaggi. Li guardiamo insieme, standocene abbracciati sul divano. Sono stupendi: hanno linee armoniche e colori delicati, come lei.
“Questo è un paesaggio thailandese”, mi dice, tendendomi l’ultimo foglio.
“La Thailandia è uno dei posti più belli che ho visitato e dove vorrei tanto tornare.”
Guardo il disegno che riproduce l’ansa di un grande fiume, gli alberelli sulla riva, le montagne azzurre sullo sfondo, mentre il mio cuore sussulta. La Thailandia, proprio la Thailandia, il paese che più di ogni altro Clara sognava! Avremmo pianificato non so quante volte un viaggio a Bangkok, che poi non abbiamo mai fatto…
Lara percepisce il mio turbamento. “Cosa c’è, Emilio?”
“Nulla… Anche a me piacerebbe visitare la Thailandia. Vorrei andarci un giorno insieme a te.”
Lei sospira. “Chissà… Ma a volte non serve andare nei posti per vederli, basta chiudere gli occhi e sognare.” Posa i disegni sul tavolino di fronte al divano, si distende lentamente sui cuscini, attirandomi accanto a sé.
“Vieni, chiudi gli occhi e sogna con me di essere in Thailandia. Sarà ancora più dolce che fare l’amore…”
Mi lascio andare con lei ed è come uscire dal corpo. Siamo nei pressi della reggia di Bangkok, all’ingresso del tempio del Buddha di Smeraldo, custodito da magnifici guerrieri alti sei metri. Entriamo nel decoratissimo tempio, la figura in giada del Buddha ci guarda con espressione serena dalla sommità dell’altare. Io guardo il dolce viso di Lara ombreggiato dalle falde del cappellino di paglia, le sue iridi lucenti di bagliori dorati… All’improvviso i suoi occhi e i suoi capelli divengono più scuri, i suoi lineamenti mutano e ora il volto che mi sorride è quello di Clara.
Con lo sguardo acceso d’entusiasmo e la voce infervorata mi racconta la storia della statua:
“Sai, le sue origini sono avvolte nel mistero, ma si crede che sia stata portata qui nel XV secolo. Il suo cammino per giungere a questo tempio fu movimentato: la statua fu rubata dai Laotiani, costretti poi, con la forza delle armi, a riconsegnarla ai Thailandesi…”
Eppure Clara non era una studiosa di storia dell’arte, è Lara che… Sopraggiungono delle danzatrici, ci circondano e ci perdiamo nella loro danza dai colori infiniti. Non vedo più né Lara, né Clara, solo un turbinio di colori e di sensuali movenze nei miei occhi…
La visione si oscura. Sobbalzo, sentendomi soffocare.
La voce di cristallo di Lara vibra di preoccupazione: “Che succede, cos’hai visto?”
Respiro affannosamente e resto in silenzio, contemplando la sua turbata bellezza. Poi l’attraggo impetuosamente contro di me, nascondendo il viso nell’oro dei suoi capelli e sussurrandole: “Sei così bella, Lara! Nulla può essere più dolce dell’amore con te.”
Me lo chiede a bruciapelo qualche sera dopo, rivolgendomi uno sguardo penetrante: “Pensi ancora a lei, quando sei con me?”
Resto spiazzato. Le mento: “No, certo che no, ormai ci sei solo tu, amore.”
“Come si chiamava?”
“Perché me lo chiedi?”
“Vorrei saperlo.”
“Si chiamava Clara”, mormoro, abbassando lo sguardo.
“Tu l’amavi. Perché non gliel’hai mai detto?”
“Non sono mai riuscito a capirlo, se l’amavo o no, voglio dire. Eravamo talmente amici…”
“Forse è proprio perché non gliel’hai detto che non riesci a liberarti del suo ricordo.”
Lara ha un’aria solenne, ieratica, seduta a gambe incrociate sul divano bianco, nella sua aura dorata. Non voglio proseguire con questo discorso. Corro ad abbracciarla e la bacio: “Amore, te l’ho detto, ci sei solo tu. Voglio stare con te per sempre.”
La sento rabbrividire un poco fra le mie braccia.
“Per sempre…” ripete pianissimo, posando la testa sulla mia spalla.
Ho deciso di chiedere a Lara di venire a vivere con me, non ne posso più di vederla correr via quasi ogni sera, di riaccompagnarla solo fino all’angolo, di tutti questi sotterfugi.
Gliel’ho appena detto e l’ho vista impallidire, tremare. Si lascia cadere sul divano, piangendo.
Che succede? L’ho sconvolta? E’ troppo presto? E’ vero, è presto, non sono nemmeno venti giorni che stiamo insieme. Idiota che sono!
“Amore, perdonami, avrei dovuto aspettare. Ti prego non piangere!”
“Non è colpa tua, Emilio, sono io… Devo andar via!”
Mi crolla il mondo: “Come…?”
Fra le lacrime Lara mi spiega che deve ripartire con la famiglia, ha sentito i suoi che ne parlavano proprio oggi. “Sono scappata via, non ho voluto nemmeno sapere quando partiamo e dove andiamo. So soltanto che fra poco non potrò più essere qui con te.”
“Lara, non è così. Troveremo una soluzione…”
Non mi lascia continuare, scuote la testa: “Non c’è soluzione, Emilio!”
Inutilmente vado avanti a dirle che non è vero, che voglio conoscere i suoi genitori, parlare con loro. Capiranno e dopotutto lei è abbastanza grande per fare le sue scelte.
Continua a scuotere la testa: “Emilio, io non ho scelta!”
Alzo la voce: “Ma è assurdo! Perché hai tanta paura? Cos’è tuo padre, un tiranno? O è perché io sono troppo vecchio per te? E’ così?”
“No, non è nulla di tutto questo!”
Non riesco a farle dire altro, sebbene le proponga ogni soluzione possibile, incluso il matrimonio immediato.
“Ti prego, non roviniamo tutto, Emilio! Non voglio più parlarne. Abbiamo poco tempo, non sprechiamolo così!”
“Abbiamo poco tempo, perché tu non vuoi averne di più!”, urlo. Fugge da casa mia in lacrime.
Sono due giorni che non la vedo e ho l’inferno nel cuore.
Non so dove trovarla. So che abita a due passi dal mio locale, ma non ha mai voluto dirmi dove esattamente. Mi aggiro invano per strada a tutte le ore, sperando di vederla. E’ tutto assurdo.
Me la ritrovo davanti la terza sera d’inferno, al locale. Mi sembra più piccola, ancora più pallida del solito, non mi sorride, mi guarda in attesa che sia io a parlarle. Non riesco a far altro che abbracciarla e stringerla a me più forte che posso.
“Ti prego, non farlo mai più!”, la supplico con voce strozzata.
“Andiamo a casa tua. Voglio stare con te.”
La gioia d’averla ritrovata è troppo grande. L’amore con lei mi fa dimenticare ogni cosa, tutte le domande che avrei voluto farle. E la mattina dopo è troppo tardi, lei è svanita di nuovo insieme alle grandi ombre della notte. Mauro dice che è assurdo che io non riesca a scoprire qualcosa di più sulla vita di Lara. Basterebbe un po’ più d’insistenza da parte mia. Replico che, appena mi sono azzardato a insistere, lei è sparita per due giorni, gettandomi nella più nera disperazione.
“Allora ti sei rassegnato a perderla?”, è la logica domanda di Mauro.
“No, non potrei mai rassegnarmi.”
Lara è qui con me al locale e mi dice che è tardi, deve tornare a casa.
“Non resti con me, stasera?”
“Non posso, amore, non so più che scuse inventarmi. Magari domani, ok?”
“D’accordo, ti accompagno.”
All’angolo dobbiamo come sempre separaci, secondo l’assurda regola da lei imposta. Fingo di assecondarla. Ci baciamo e la scopro pallida e tremante più che mai, il suo corpo fra le mie braccia mi sembra quasi privo di consistenza, le sue labbra non traggono calore neppure dal mio lungo bacio. La lascio andare, lascio che sparisca dietro l’angolo portandosi via il suo profumo di viola, il suo inspiegabile freddo, il suo dolcissimo sorriso.
Aspetto solo qualche secondo: ho deciso di seguirla, per vedere almeno dove abita. Domani mi presenterò a casa sua e i suoi genitori dovranno ascoltarmi. Non m’importa delle conseguenze. Sarebbe molto peggio vederla andar via senza aver tentato nulla.
Svolto l’angolo e, davanti a me, trovo solo una deserta oscurità. Lei è svanita. Com’è possibile? Non può aver fatto in tempo a raggiungere nessuna di quelle villette laggiù, in fondo alla strada, dove ho sempre pensato abitasse. Forse c’era un’auto ad aspettarla? Impossibile anche questo, non ho sentito partire nessuna macchina, non vedo nessuna macchina sfrecciar via sulla strada indifferente alla mia perplessità. Intorno a me solo buio, solitudine, silenzio…
Non ho chiuso occhio la notte scorsa, non riuscivo a trovare una spiegazione. Si sarà nascosta, magari dietro i cassonetti della spazzatura, avendo intuito la mia intenzione di seguirla. Ma ci sono i cassonetti della spazzatura dietro l’angolo? Mi pare di no, stanno più avanti, vicino alle case. Non ci sono possibili nascondigli in quel breve tratto di strada, e dunque dove diavolo…? Basta, oggi mi apposto all’angolo e ci rimango, se necessario, fino a tarda sera, quando lei uscirà per venire al locale. Da qualche parte dovrà pur sbucare, a un certo punto.
Pensavo di dover aspettare a lungo, invece non è così. Dopo appena una mezz’ora d’attesa la vedo comparire all’improvviso sul marciapiede di fronte. Mi guardavo intorno con due occhi di falco, eppure non ho visto da dov’è spuntata fuori.
Sta ferma sul ciglio del marciapiede, avvolta nel sole caldo e luminoso della mattina estiva. Non l’avevo mai vista alla luce del giorno e mi fa uno strano effetto, non mi sembra quasi lei. Il suo corpo mi appare trasparente, immateriale, il suo volto diafano circondato dai chiarissimi capelli mossi da un soffio di vento mi fa quasi rabbrividire.
Mi ha visto, agita una mano in segno di saluto. Riconosco il suo radioso sorriso di ragazza innamorata e voglio scorgere in quel sorriso la realizzazione dei miei desideri. E’ felice di vedermi, sì, è tutto risolto, sta venendo da me per dirmi che ha parlato con i suoi genitori, che non deve più partire, che resteremo insieme per sempre.
Attraversa la strada di corsa per raggiungermi, l’aspetto a braccia aperte, col cuore in gioioso tumulto. Nessuno di noi si accorge del semaforo rosso e della macchina che sopraggiunge a gran velocità, finché non…
Grido il suo nome con tutto il fiato che ho. Non posso nemmeno sfiorarla, non mi lasciano avvicinare. So che è già morta. La sirena dell’ambulanza sembra l’urlo agghiacciante d’un mostro orrendo che viene a portarmela via per sempre.
E’ finita.
Quando in ospedale mi hanno chiesto le sue generalità, ho saputo rispondere soltanto che era Lara, la mia ragazza. In quel momento mi sono reso conto che non sapevo neppure il suo cognome.
Non è stato possibile identificare la vittima, non aveva documenti con sé, nessun parente si è presentato per il riconoscimento, nessuno ha chiesto di lei. Sono stato interrogato a lungo e inutilmente, non ho saputo dire nulla di più che il suo nome era Lara, che aveva ventitré anni e la conoscevo da ventitré giorni. Lara è avvolta nel mistero, un mistero che non si scioglierà mai.
Sono rimasto parecchi giorni in ospedale, sotto shock. Avevo perso totalmente il controllo, mi tenevano sotto sedativi.
Oggi Mauro e Patrizia mi hanno riportato a casa. Vorrebbero aiutarmi a mettermi a letto, visto che sono ancora intontito e stravolto, Patrizia si offre di prepararmi qualcosa da mangiare. Non li sopporto, voglio rimanere solo. Lo comprendono dal mio sguardo e se ne vanno in silenzio. Mi accascio sul divano dove tante volte ho tenuto Lara fra le braccia, su quei cuscini che ancora conservano il suo profumo.
Chiudo gli occhi, getto indietro la testa, con un vago movimento sfioro il tessuto del divano e la mia mano incontra qualcosa di metallico e un foglio di carta. Riapro gli occhi di scatto: il qualcosa di metallico si rivela il braccialetto d’oro di Lara, o di Clara, che non ho mai tirato fuori dal cassetto in cui l’avevo riposto. Si sbriciola immediatamente fra le mie dita tremanti e la polvere d’oro si sparge sul niveo tessuto del divano, poi svanisce. Il foglio di carta non è altro che il testo dattiloscritto della vecchia fiaba di Clara sulla fata del fuoco e del ghiaccio, fiaba a cui avevo pensato poco tempo prima, ma che non avevo mai tirato fuori dal cassetto. Il mio sguardo allucinato viene attratto dalla parte finale del testo:
“Un giorno la Morte venne a ghermire la fata del fuoco. Lei, follemente innamorata della Vita e di un uomo, pianse e supplicò di avere ancora un po’ di tempo per il suo amore. La Morte si commosse e la restituì per un poco alla Vita, ma non poté ridarle il suo fuoco. Allora la trasformò in una fata del ghiaccio infinitamente bella, dai fluenti capelli biondi e gli occhi dorati. La fata tornò dall’uomo che amava. Egli non la riconobbe, ma s’innamorò perdutamente di lei, e trascorsero insieme brevi giorni felici. Poi la Morte tornò a prendersi ciò che era già suo. All’uomo che aveva amato la fata del fuoco e del ghiaccio restò solo il ricordo di quel bellissimo amore, che indugiò ancora per poco tempo nel suo cuore. Infine ne fuggì via e si spense per sempre come una piccola scintilla di fuoco nel gelo dei ghiacci eterni”. A Emilio, Clara.
Autore: Astfelia
Messo on line in data: Ottobre 2005