SAN GALGANO E LA SAGA ARTURIANA di Serena Rondello

Il misterioso Galgano Guidotti

Chi era Galgano Guidotti? Nel bel paese ben pochi saprebbero rispondere con precisione a questo quesito tranne, forse, qualche contadino della campagna senese o un appassionato delle leggende della Tavola Rotonda.
Cartoni animati, film e libri ci hanno permesso di conoscere a grandi linee la vicenda di Excalibur, la lama che designò il destino dello scudiero Artù, ma non tutti sanno che l’unica spada nella roccia di cui sia mai stata documentata l’esistenza sino ai nostri giorni si trova in Italia sul colle di Montesiepi, ad una trentina di chilometri da Siena lungo la statale per Grosseto. Stando alle testimonianze storiche raccolte, colui che la conficcò nella pietra adorandola come croce e rinunciando simbolicamente alla guerra fu proprio Galgano Guidotti.
La Toscana e Camelot, quindi. Quale legame può esistere fra una delle regioni più belle d’Italia e la Britannia dei Celti? Procediamo per ordine esaminando la figura del Guidotti.

Nella foto a lato,
Panorama della rotonda di Montesiepi

Egli nasce a Chiusino nel 1148 d.C. da una famiglia di nobile lignaggio. Diventa cavaliere e per anni segue il mestiere delle armi finché una notte, tornato al suo paese natale, gli appaiono in sogno l’arcangelo Michele e i dodici Apostoli. Da quel momento decide, dopo aver vissuto un’esistenza “poco virtuosa”, di cambiare stile di vita per rivolgersi totalmente all’eremitaggio. Nel 1180 inizia a costruire vicino al suo eremo in località Montesiepi una cappella tutt’oggi visibile: la sua base è circolare e i colori bianco e rosso ricordano quelli degli ordini crociferi dediti all’ospitalità ed alla protezione dei pellegrini.

Perché la scelta ricadde proprio su Montesiepi? Si narra che, dopo diverse apparizioni dell’arcangelo Michele, Galgano fosse nei pressi di questa località quando all’improvviso il suo cavallo impennò e si diresse autonomamente verso la radura. La forza mistica del luogo fece sì che Galgano abbandonasse le vesti di cavaliere e, infiggendo la sua spada nella roccia, diede inizio al cammino nell’arduo dedalo di un nuovo mondo.


Nella foto a lato,
Giardino all’entrata dell’Abbazia di San Galgano

Il suo destino è segnato da un intimo percorso profetico, tracciato più volte dall’immagine dell’arcangelo che sembra guidarlo nel sentiero dell’iniziazione cavalleresca, per portarlo in seguito, verso la piena solitudine.
Negli undici mesi di vita eremitica compie svariati miracoli, ai quali sarà attribuita più valenza naturalistica che religiosa, assimilandolo così maggiormente alla figura del druido piuttosto che a quella del santo.

Durante la gelida notte del 3 dicembre 1181, Galgano morirà di stenti all’età di 33 anni. Verrà ritrovato dal vescovo di Volterra, Ugo dei Saladini e da quello di Massa Marittima i quali gli daranno degna sepoltura assistiti da tre abati cistercensi.
Galgano viene seppellito accanto alla spada e il luogo diviene subito meta di fedeli. Pochi anni dopo la sua scomparsa, dal 4 al 7 agosto 1185, una commissione di prelati presieduta dal cardinale-vescovo della Sabina, Corrado di Wittelsbach, viene incaricata da papa Lucio III di accertare l’effettiva esistenza dei miracoli e la sua presunta santità. Solo quattro anni dopo la sua morte, Galgano è già canonizzato per opera del pontefice Lucio III (secondo altre versioni Urbano III nel 1186).

Nella foto a lato,
Esterno dell’Abbazia di San Galgano ripresa dall’esterno

In occasione dei lavori della commissione viene anche consacrata e completata la rotonda sorta sull’eremo per volere del vescovo di Volterra, il quale non riuscirà a vederla ultimata a causa della sua morte nel 1184 e, per questo, sarà il suo successore Ildebrando Pannocchieschi ad avere il compito di consacrarla e aprirla al culto.

Ombre dense nascondono gli anni immediatamente successivi alla santificazione, ma di questo parleremo dopo.
Perché la figura di San Galgano ha assunto una connotazione così interessante?
Per riprendere il discorso iniziale sul collegamento fra l’allora stato di Siena e la Britannia, riportiamo una tesi che sta prendendo campo anche se non è stata ancora totalmente avvalorata: quella cioè che cerca di smontare la derivazione celtica del ciclo bretone per accreditarne un’origine diversa.
Vediamo su quali punti si fonda.

Quando la spada di Galgano diviene parte della pietra siamo intorno alla metà del 1100 d.C. e i romanzi arturiani sono ai primi albori della loro esistenza o addirittura, per taluni, potrebbero non essere ancora nati. La storia di Galgano potrebbe precedere quindi la compilazione della primissima versione del ciclo del Graal stilata da Chrétien de Troyes e l’inserimento della spada nella roccia non sarebbe riconducibile ad alcun richiamo alla nobiltà bretone: la lama infatti era già lì a testimonianza forse di un miracolo e di un alone di mistero.


Nella foto a lato,
Interno dell’Abbazia di San Galgano ripresa dall’interno

Il processo di canonizzazione di Galgano è già concluso intorno al 1185-86 ovvero prima sia del Perceval di Chrétien de Troyes che del Parzifal scritto da Wolfram von Eschenbach. Inoltre, il nome del santo senese appare attestato in Toscana ben prima che in Britannia e riporta alla memoria quello del cavaliere Galvano, uno dei protagonisti della Tavola Rotonda, le cui avventure seguono quelle di Perceval nel romanzo incompiuto di Chrétien.
Sono ancora da segnalare un paio di indizi interessanti volti ad accreditare il pensiero che il ciclo bretone abbia preso spunto dalla storia di S. Galgano: le comuni vicende biografiche fra il santo toscano e lo stesso Perceval ad esempio. Ambedue sono figli di vedove che si oppongono agli ideali del cavalierato, entrambi cercano un Graal e tutt’e due sono accolti da un gruppo di loro pari. Ancora, la rotonda di Montesiepi dov’è custodita la spada nella roccia andrebbe a nozze con la Tavola Rotonda dei cavalieri di Re Artù ecc.

Un autore contemporaneo difensore dell’origine toscana del mito di Camelot, sostiene anche che i poemi del Graal potrebbero dipendere da una riscrittura persiana della vicenda dei Re Magi giunta in Europa intorno al XII secolo, contaminata con la figura di san Galgano ed elaborata in seguito da Chrétien de Troyes alla corte di Aquitania per affermare la preminenza francese su quella “latina”…
L’ ipotesi non è certo immune da prove a sfavore. Nel ciclo toscano è totalmente assente la figura di Artù, non c’è violenza e l’ambientazione è diversa. Secondo i documenti storici gli avversari di Galgano non riescono a togliere dalla pietra la spada che egli aveva piantato: il tema è inverso a quello della saga arturiana, anche se avrebbe potuto prendervi spunto.

Dopo aver riportato con i suoi pro e i suoi contro la recente supposizione del fondamento toscano e non bretone dell’epopea arturiana, vorrei soffermarmi su un paio di aspetti altrettanto affascinanti che riguardano le motivazioni e le conseguenze della frettolosa beatificazione del santo senese.
In primis, questa impazienza ha suffragato l’idea di voler seppellire un “movimento” e un personaggio che potevano odorare di eresia, anche se ad oggi, come per ogni enigma che si rispetti, le idee non sono così chiare.
Per “movimento” mi riferisco all’ordine Templare che scelse di fondare alcune magioni proprio nel territorio toscano: vedi San Gimignano, Frosini, Grosseto, Massa Marittima e San Galgano.

Oltre a ciò, la costruzione dell’abbazia fu affidata ai cistercensi, i più grandi nemici dell’ordine del Tempio che la iniziarono nel 1227 e la terminarono nel 1288. Perché l’incarico fu assegnato proprio a loro? Si voleva insabbiare qualcosa che stava nascendo o si stava organizzando in quella zona? Secondo le fonti storiche i cistercensi si insediarono ufficialmente alla rotonda nel 1191 ottenendo i privilegi imperiali già nel 1196. Il loro stanziamento non era gradito a buona parte dei primi discepoli del santo i quali, in pieno disaccordo con i nuovi arrivati, abbandoneranno la stessa rotonda per fondare nuovi eremi.

In secondo luogo, l’analisi dell’origine della parola “Montesiepi” offre spunti per ragionamenti metafisici interessanti.
La siepe, parte integrante del toponimo, richiama l’idea del giardino dell’Eden, ma anche quello alchemico delle Esperidi: può essere interpretata come il confine tra il mondo materiale e quello spirituale, il punto di passaggio fra le energie della terra e del cielo. Per questo un animo sensibile come quello di Galgano scelse questo luogo per compiere l’opera che gli era stata affidata.
Dopo appena un anno di vita eremitica il suo spirito, liberato dalla carne, si è ricongiunto alla via eterea così com’era suo desiderio.

Perché mai la Chiesa poteva temere questo personaggio? Quale segreto ha cercato di affondare facendosi scudo di una beatificazione in tempi così brevi?
La risposta potrebbe trovarsi nei chiari segni della celticità del luogo.
L’antico nome di Montesiepi, infatti, era Cerboli derivante da cervo, animale tipicamente sacro ai Celti come dimostra la credenza del dio Cernumno e l’animale totemico creato in suo onore; il paese vicino a Montesiepi è Brenna: per gli appassionati il ricordo non può che andare a Bran, l’eroe fondatore celtico e a “brenna”, il nome del sacrificio dei druidi che consisteva nell’annegamento rituale della vittima umana designata.

In sintesi le domande e le curiosità sono davvero molte.
Ognuno propenda per la tesi che crede, magari fra qualche anno si scoprirà qualcosa che capovolgerà radicalmente tutte queste ipotesi indicate finora, chi può saperlo? Per quanto mi concerne, sono già soddisfatta di aver potuto assaporare il sapore mistico del luogo andandovi personalmente in una bella giornata di sole e senza turisti come testimoniano le foto che ho inviato, qualunque verità celi la storia di San Galgano.
Montesiepi resta un luogo estremamente affascinante che comunica al visitatore sensibile la presenza di forze arcane in particolare se si ha la fortuna di cogliere questa intima essenza nei periodi di scarso affollamento, ma soprattutto, anche per coloro che non sono interessati ai misteri che vi stanno attorno, è una località da visitare per contemplare almeno per una volta la bellezza dell’imponente abbazia scoperchiata e aperta verso il cielo e la misticità della rotonda poco distante da essa.

Autore: Serena Rondello
Messo on line in data: Agosto 2004
Immagini a cura dell’Autrice.