SAN VALENTINO di Andrea Romanazzi
San Valentino e la folgorazione mistica (ovvero sesso, rituali pagani e amor cortese)
San Valentino, tutti lo festeggiano o lo hanno festeggiato, ma sapete il perché di tale associazione?
Vi incuriosisce scoprire le antiche origini di una festa che oggi farebbe gridare allo scandalo? Abbandonate l’immagine da bacio perugina ed addentriamoci tra i meandri falloforici.
L’originale festività religiosa prende il nome dal santo Valentino da Terni, e venne istituita nel 496 da papa Gelasio I. In realtà ancora nulla c’entra la festa degli “Innamorati” con quella del Santo. La pratica moderna di celebrazione della festa sembrerebbe risalire probabilmente al Basso Medioevo, e potrebbe essere in particolare riconducibile al circolo di Geoffrey Chaucer che, nel Parlamento degli Uccelli, associa la ricorrenza al fidanzamento di Riccardo II d’Inghilterra con Anna di Boemia, anche se non tutti gli studiosi sono d’accordo.
Per altri l’associazione tra il Santo e l’Amore è legato ad un episodio che all’epoca suscitò vasto clamore: S. Valentino, secondo la tradizione, fu il primo ministro di Dio a celebrare l’unione fra un pagano e una cristiana. Alcuni studiosi del mondo naturale hanno legato tale festività alla credenza che da metà di febbraio si riscontrino i primi segni di risveglio della natura e nel Medioevo, soprattutto in Francia e Inghilterra, si riteneva che in quella data cominciasse l’accoppiamento degli uccelli e quindi l’evento si prestava a considerare questa la festa degl’innamorati. Direi un accoppiamento un po’ forzato, con gli estremi per un divorzio.
Per gli amanti dell’Oltralpe, in area norrena il periodo era dedicato a Vali, dio arciere figlio di Odino, ed era il periodo dell’anno per celebrare matrimonio, anche se è un aspetto poco conosciuto all’interno della Tradizione nordica e comunque non particolarmente importante. Possiamo dire che la festa dell’amore sia una festa di “importazione” il “St. Valentine’s day” sullo stile di Halloween? Parzialmente, perché la festa degli “innamorati” si sovrapponeva ad una festività pagana molto nota, i famosi Lupercali.
“Nella Roma antica il giorno precedente i Lupercalia , il 14 Febbraio, era festa in onore di Giunone, la regina degli dei e delle dee romane nonché
delle donne e del matrimonio. E’ questa tra l’altro una delle origini della festa di S.Valentino, a quel tempo infatti, le vite dei ragazzi e delle ragazze erano rigidamente separate e quella festa era un’occasione di incontro per ambo i sessi. La vigilia della festa di Lupercalia i nomi dei ragazzi romani venivano scritti su pezzetti di carta e messi dentro dei recipienti. Ogni ragazzo doveva sorteggiare il nome di una ragazza dal recipiente:la ragazza scelta sarebbe stata così sua partner per tutta la durata della festa.”
Così raccontano alcuni studiosi novecenteschi. In realtà davvero i Lupercali erano una festività importantissima per Roma in quanto rimandava alle stesse origini della città. Ovidio faceva risalire la tradizione della festa alle antiche celebrazioni dedicate a Priapo. Il dio, spesso rappresentato con un volto umano e le orecchie di una capra, tiene in mano un bastone usato per spaventare gli uccelli, la falce per potare gli alberi e sulla testa foglie d’alloro.
Per altri la festività era in onore del dio Lupesco, protettore delle greggi e degli armenti, spesso confuso con Pan. Secondo la mitologia il Dio nacque dall’unione di Ermes con Driope, la ninfa della quercia. La leggenda vuole che il dio stesse portando al pascolo delle pecore in Arcadia vide la fanciulla e subito se ne innamorò, dall’incontro nacque un bimbo metà uomo e metà capra. La divinità era spesso rappresentato in forma fallica o addirittura dotato di un doppio fallo, simbolo proprio della sua natura feconda, aspetto per il quale era anche rappresentato da un pilastrino verticale con sopra scolpita la sua testa e il suo fallo eretto, simbolo appunto della fecondazione.
In quei giorni era dunque costume, in onore al Dio, scannare le capre e utilizzarne le pelli per vestire i lucerci, sacerdoti che staffilavano le donne contente di essere percosse perché convinte che quel rituale avrebbe facilitato la loro gravidanza e il parto. I rituali, basati spesso su riti orgiastici con sacrifici animali erano stati a loro volta ereditati dai romani dalle popolazioni autoctone che vedevano nell’animale una divinità.
E’ già in questa festa che vediamo la germinazione del Carnevale, ovvero del “Camuffamento” del sacerdote che, avvolto in pelli d’animale, personificava il dio. La maschera indossata dal sacerdote/demonio era incarnazione di un personaggio mitico, un antenato, un animale totemico, un dio, e aveva la capacità di trasumanare l’uomo che la indossava. Le donne e le sacerdotesse, nella loro unione con il dio-sacerdote durante i rituali di fertilità, credevano così di esserne rese feconde.
I rituali di fertilità, il concetto di accoppiamento sacro, metafora del ciclo naturale, ove l’uomo e la donna, si sostituiscono alle divinità e per loro intercessione perpetuano il mistero della nascita, e successivamente le falloforie, sono così archetipo del sabba. Culti simili sono presenti in molte altre aree di Italia e d’Europa. Il Mannhardt, per esempio, ne descrive moltissimi relativi il “battere” gli alberi o le piante in primavera o a fine inverno per cacciare gli spiriti maligni e ostili alla rinascita vegetazionale. Insomma, scopriamo che San Valentino che oggi festeggiamo era una gran festa del sesso.
Successivamente i Lupercali assunsero il carattere di una festa di purificazione, all’inizio, del gregge, e poi della città, senza però perdere il ricordo di base. Uomini vestiti con le pelli degli animali sacrificati, percuotevano le donne che incontravano con lo scopo propiziatorio di trovare presto marito o per ottener una numerosa prole. Le frustate dei Luperci, divenuti anche uomini-capri non sono state dimenticate, così Carlo Levi nel suo Cristo si è fermato a Eboli parla dell’usanza del battere e percuotere le donne con le verghe per assicurare loro la fecondità: “Vidi sbucare dal fondo tre fantasmi vestiti di bianco in mano portavano pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni, e le brandivano minacciose, e battevano con esse sulla schiena e sul capo di tutti quelli che non si scansavano in tempo”.
Se però questa visione poco poetica della festa vi ha creato problemi, rimediamo subito con un po’ di “Amor Cortese”…
Il Colpo di Fulmine e il “Celtismo” Irlandese
Nel linguaggio moderno spesso si parla di “colpo di fulmine” ad indicare l’oramai famoso amore a prima vista. I media e i giornali ci hanno mostrato tutte le innumerevoli sfaccettature di questo termine nascondendoci però la vera essenza che si nasconde in esso, a metà strada tra amore e magia e che affonda le sue radici in miti e leggende che ci riportano ad indomiti guerrieri ma anche a splendidi e dolci amanti. Da sempre infatti amore e guerra sono andate di pari passo, in passato un re impotente o comunque che non poteva generare figli non poteva governare un paese, e gli stessi cavalieri e paladini erano screditati se avessero rifiutato di giacere nel letto di una fanciulla che glielo avesse chiesto. Ancora oggi questo legame tra guerra e amore è ricordato in molti detti popolari come il comunissimo “in amore ed in guerra tutto è permesso”.
L’energia “amorosa”, generata da una donna, può rendere l’uomo invincibile e da qui la tradizione di una antichissima tecnica di combattimento chiamata appunto “Colpo di fulmine”.
Un interessante episodio da narrare in tal senso è quello di Cuchulainn, il mitico eroe d’Irlanda: il leggendario sovrano si trova dalla sua maga-iniziatrice Scatach quando una notte la figlia della sacerdotessa, Uatach, innamorata dell’eroe, decide di sedurlo andando a riposare nuda nello stesso letto. L’eroe infastidito all’inizio rifiuta la proposta, ma ecco che la fanciulla, in cambio di una semplice notte d’amore, promette al re di spiegare come ottenere dalla madre una terribile tecnica di combattimento che lo renderà invincibile. Ancora una volta, dunque, è attraverso la donna che l’uomo diventa imbattibile e infatti solo dopo aver giaciuto con Uatach e poi successivamente con la stessa sacerdotessa Scatach che Cuchulainn ottiene il segreto della micidiale Scarica di Fulmine che lo renderà famoso in battaglia.
L’esempio del mitico re irlandese non è l’unico, questa strana tecnica di combattimento era conosciuta anche da Lug, Batraz e molte altre divinità celtiche che, a loro volta, l’avevano sempre appresa da una donna. Ricordi di questa magica arma fisico-spirituale li ritroviamo successivamente nella Materia di Bretagna, e in particolare in una delle prime versioni del Lanzelot en Prose, la storia di uno dei più famosi paladini della tavola rotonda, appunto Sir Lancellotto. Anche il paladino arturiano è da sempre circondato da donne-maghe, da Viviana a Morgana, esseri fatati che gli insegnano l’arte della guerra, ma solo una donna speciale potrà rendere l’eroe invincibile e tutto nascerà da uno “sguardo” o, come oggi lo definiremmo, da un “colpo di fulmine”.
“… Colpito al suo arrivo dalla sua beltà, lei gli sembra incomparabile più splendida da vicino, ed egli le appare più alto e più forte. La regina prega Dio di far di lui un valoroso per la pienezza della bellezza di cui lo ha favorito…”
Questi versi del Lanzelot en prose descrivono perfettamente il colpo di fulmine dopo il quale il paladino diventa il cavaliere più forte del regno, ed e’ ancora una volta l’amor fulmineo a trasformarsi in arma e “folgore divina”. Solo chi conosce la “donna” può così esser un grande eroe, solo chi conosce l’“amore” può diventare invincibile come può essere letto tra le righe di tutta la mitologia celtica alla quale la materia di Bretagna si rifà, e così il figlio indomito di Cuchulainn, non conoscendo l’amore, viene ucciso in battaglia dal proprio padre che, non riconoscendolo, lo sconfigge proprio con la tecnica del colpo di fulmine.
Stessa sorte toccherà a Galahad, figlio di Lancillotto. Infatti il cavaliere dal cuore puro e designato per l’arduo compito della cerca del Graal potrà portare a termine, a differenza del padre, proprio perché pudico, ma in realtà sarà proprio questa sua mancanza d’ “amore” a decretare la sua fine: infatti perirà fulminato dalla luce stessa della mistica coppa d’Amore! Colui che non conosce la “scarica di fulmine” non potrà essere invincibile e nessun cavaliere potrà mai conoscerla senza la propria donna, il tramite d’amore che permette il raggiungimento della mistica folgorazione il cui ricordo, ancora oggi, si conserva nella tipica espressione “colpo di fulmine”.
Autore: Andrea Romanazzi
Messo on line in data: Marzo 2017