SPECIALE NATALE: STORIA DELLA FESTA DI NATALE di Redazione
Natale, una festa comune oltre le barriere di spazio e tempo
Anche quest’anno il Natale giunge gradito come uno dei periodi più magici e amati di tutto il calendario. In città e nelle campagne, l’aria frizzanti di fine Autunno – per quanto, purtroppo, le mezze stagioni sembrino destinate a restare mero ricordo – contribuisce a incantare ogni cosa. Le strade, le vetrine, le case e i campi, tutto acquista la forma e i colori di dipinti antichi, le cui suggestioni si perdono nei tempi.
Scartabellando un po’ i miei libri e navigando in Internet alla ricerca di elementi utili al mio articolo sul Natale, ho scovato una notizia che mi ha particolarmente colpita e che ha, in un certo qual modo, confermato il mio credo secondo cui ogni religione, seppur diversa nella forma rispetto alle altre, contempla uno fondo di base universale.
È come se la storia dell’uomo e del suo rapporto col Trascendente (che sia esso Vita, Morte, o Dio) si riverberi, in ogni epoca e in ogni parte del mondo, come frammenti di specchi rimandanti la stessa immagine. La data del 25 Dicembre sembra, così, essere la più comune tra le date e avere risonanze ben più antiche di quella accreditata alla venuta di Cristo. Nascevano, quindi, il 25 Dicembre: il Dio egiziano Horus, il Dio indo-persiano Mithra, il Dio babilonese Tammuz/Yule a Shamas; l’Invictus Sol Elagabalus a Emesa e il Dio Sole Dusares/Helios a Petra.
Nell’antico Messico e in India il 25 Dicembre era considerata una data sacra: in corrispondenza del nostro 25 dicembre, le popolazioni azteche e pre-azteche celebravano la nascita del Dio del Sole Huitzilopochtli, mentre nello Yucatan si festeggiava Bacab. In questa data sembrerebbe cadere la nascita anche di Khrisna, di Zarathustra e di Dioniso. Nell’Emisfero Sud invece, poiché le stagioni sono rovesciate rispetto alle nostre e il Solstizio d’Inverno cade a Giugno, troviamo la Fiesta del Sol (Inti Raymi – 24 giugno) delle antiche popolazioni incaiche e pre-incaiche, celebrazione tutt’oggi in auge in Perù e nella regione andina.
È, quindi, un luogo comune quello secondo cui il Natale è festività esclusivamente cristiana. In realtà esso è crocevia di tradizioni antiche e diverse per tempi e spazi ma, allo stesso tempo, assolutamente complementari. È, inoltre, interessante analizzare come le tradizioni formali e culinarie di questo magico periodo nascondano antiche credenze: in Europa è usanza diffusa quella di fare il “brindisi” ben augurante, facendo tintinnare i bicchieri tra di loro e, più brindisi si fanno, più fortuna si attira.
Nell’Europa dell’Est si è soliti rompere i bicchieri contro una parete. In Spagna si usa mangiare 12 chicchi d’uva, esattamente quanti sono i mesi dell’anno, esprimendo un desiderio per ognuno di essi e, se il bacio sotto al vischio è di buon augurio per le coppie, poiché anticamente il vischio era considerato altamente protettore di ogni cosa, perfino i proverbi natalizi rispecchiano credi di un antico folclore:
- La neve prima di Natale è madre, dopo è matrigna.
- Seminare decembrino vale meno d’un quattrino.
- Per i Santi Innocentini son finite le feste e i quattrini.
- Se piove per Santa Bibiana, piove per quaranta dì e una settimana.
- Chi fa Natale al sole fa Pasqua al fuoco.
- Da Natale in là il freddo se ne va.
Quel che è certo è che la notte di Natale acquista gran parte del suo fascino dalla magia che antichi racconti sprigionano di generazione in generazione: leggende d’altri tempi raccontano che chi nasce in questo giorno è destinato a diventare un lupomino (ovvero lupo mannaro in gergo meridionale), le maledizioni e le benedizioni mai come in questa notte hanno valore profetico e ogni cosa sembra rivestire un ruolo sacro.
Il termine Natale si riferisce, per di più, non esclusivamente al 25 Dicembre – data in cui si è soliti credere che sia nato Gesù Cristo circa 2000 anni fa – ma rappresenta un intero periodo di feste che incomincia la notte del 24 Dicembre e si conclude il giorno dell’Epifania, il 6 Gennaio.
Le origini cristiane di tale data risalgono, all’incirca, al 350 d.C., quando la Chiesa Romana decise di soppiantare l’antica festività pagana del dio Sole con una festività tutta Cristiana. Ma, antecedente all’era cristiana, era la cultura popolare che celebrava un lungo periodo di feste a partire dal solstizio d’Inverno (21 Dicembre), attraverso rituali legati al mondo rurale ed agreste. Il fulcro di tali feste era la celebrazione della rinascita, intesa come rigenerazione ciclica della Natura in tutti i suoi aspetti e, quindi, simbolicamente anche delle attività umane.
La cultura popolare e, in particolare quella rurale, trovandosi a contatto diretto con le forze primordiali della Natura, nutrono la convinzione secondo cui, all’incipit di un ciclo (annuale o generico che sia), corrisponda un manifestarsi delle forze insite al pianeta. Parliamo di quelle forze potentissime e sovrannaturali che sottendono eventi straordinari e fenomeni inaspettati, come la fortuna, la nascita di un bambino, la ricchezza, ecc…
Ecco come, nel mondo attuale, il gioco della tombola trova origini antichissime nell’usanza di interpellare maghi ed indovini il giorno del solstizio d’Inverno o in quella di propiziarsi l’anno a venire attraverso simboli e giochi propiziatori.
Anche il cibo, che fa da padrone sulle nostre tavole, addobbate a dovere durante le festività natalizie, ha un altissimo valore simbolico: i dolci lavorati con farina di castagne e/o di mandorle e frutta secca richiamano l’idea della fecondità, della protezione e del compimento dei desideri; l’uva passa, con cui le industrie farciscono panettoni e torte natalizie – ma anche le lenticchie e gli zamponi, solitamente consumati alla mezzanotte dell’ultimo dell’anno – rimandano l’idea di benessere e ricchezza, tanto diffuse dagli stessi ingredienti in epoche a noi remote. Perfino il cenone a base di “magro” della vigilia ha riferimenti allegorici: il capitone, per esempio, è da sempre simbolo di fratellanza e amicizia, consumarlo in compagnia è ben augurante di nuovi e antichi sodalizi; mentre le cascate di salumi che presentiamo in vassoi posti su centri tavola ricamati a mano, ricordano l’antica usanza di sacrificare animali allevati durante tutto l’anno, sperando così di ingraziarsi la Dea Fortuna per il nuovo anno.
Ci si è spesso chiesti come mai la data della nascita di Gesù Cristo, così profondamente cristiana, coincida, per assurdo, con date pagane di nota rinomanza. La Nuova Enciclopedia Cattolica dell’Ordine Francescano (ed.1941) svela nel seguente modo tale arcano:
“per inspiegabile che sembri, la data della nascita di Cristo non è nota. I Vangeli non indicano né il giorno né l’anno… fu assegnata la data del solstizio d’inverno perché in quel giorno in cui il Sole comincia il suo ritorno nei cieli boreali, i pagani che adoravano Mitra celebravano il Dies Natalis Solis Invicti (giorno della vittoria del Sole sulle Tenebre)”.
Ne deriva, quindi che, prima che nascesse il Natale cristiano propriamente detto, le popolazioni festeggiassero un’altra festività, quella associata al Fuoco e al Sole, detta anche festa della luce di Mithra e il cui nome trova origine nel solstizio d’Inverno. Era questo il giorno più corto dell’anno, che sanciva l’inizio di un nuovo percorso.
Le popolazioni dell’antica Europa (Celti, Romani, Finnici, Unni) credevano moltissimo, infatti, nella contrapposizione tra Bene e Male e nella sequenza ciclica delle stagioni.
Particolarissima era la concezione del tempo, rappresentato dalla figura di un cerchio, referente di un continuum in cui ogni cosa ha un inizio e una fine. Così, qualsiasi linea di demarcazione tra esordio ed epilogo, tra vecchio e nuovo, acquistava, nella tradizione specificatamente celtica, un valore iniziatico.
Durante l’anno Bene e Male si fronteggiavano sul campo dello scandir del Tempo, rappresentati l’uno dalla Luce (Sole), l’altro dalle Tenebre (Notte): felicità, gioia e disgrazie ingaggiavano battaglia contro oscurità e tenebre. Se l’Estate e la Primavera costituivano periodi di gran lavoro e di semina (in senso lato), la fine dell’estate, sancita dalla festività di Samhain, rappresentava invece l’inizio del gran riposo, in cui il bestiame era stato ben allevato, portato ai pascoli e preparato all’inverno, i frutti erano stati coltivati e raccolti e l’intera Natura si preparava al letargo. La “guerra” tra il Sole e la Notte trovava il suo culmine nel Solstizio d’Inverno, in cui quest’ultima prendeva il sopravvento sulla prima.
La notte più lunga del calendario vedeva la celebrazione del dio Sole e prendeva il nome di Yule.
Rispetto ai popoli dell’Europa Mediterranea, i popoli nordici, più vicini al Polo, avvertivano maggiormente l’importanza di quest’evento e inventarono riti e celebrazioni varie, al fine di ingraziarsi gli dei delle tenebre e tenerli a bada. Così lasciavano fuori dalle porte gli avanzi dei banchetti, bagnavano le porte delle case con sangue di animali sacrificati al sole e accendevano falò per illuminare il paesaggio circostante che, soffocato dalla neve, sembrava assoggettarsi anch’esso all’atmosfera solitaria che incombeva attorno. Altrettanto vive erano le tradizioni che volevano l’utilizzo dell’agrifoglio come simbolo benefico, del ceppo che ardesse per notti intere nei focolari, dei dolci e delle vivande per ingraziarsi gli spiriti malvagi che aleggiavano per le strade, ecc…
Nell’antica Roma, invece, si festeggiavano i Saturnali in onore del dio Saturno, in un periodo che andava dal 17 al 24 Dicembre. In questo particolare periodo dell’anno ogni cosa subiva un ribaltamento e ognuno si dedicava a rituali sacri.
La cerimonia principale, in onore del dio Saturno, veniva celebrata in un grande tempio, seguita da un convivium pubblicum e, in ambito privato, da una festa tra parenti e amici. Esordio dei Saturnalia era la sospensione dell’ordine comune: il padrone serviva lo schiavo, giochi proibiti venivano ufficialmente legalizzati, ai bambini venivano fatti doni di ogni genere e scherzi e stranezze erano consentite, se non addirittura fomentate. Veniva eletto un “princeps”, prelevato dai ceti meno abbienti, a cui venivano dati particolari permessi e poteri. Massima regola era quella di rispettare paci e tregue. Ci si scambiava regali e si mettevano da parte fazioni e divisioni; servi e padroni pasteggiavano assieme, consumando pranzi luculliani e trastullandosi col famoso gioco dei dadi, oggi forse sostituito dalle carte e dai giochi da tavola.
Ma chi era questo dio, tanto potente da rovesciare lo stato solito delle cose? Saturno altro non era che il dio dell’agricoltura, della semina e del raccolto. In suo onore veniva fatta ogni sorta di rinuncia, tra cui quella ai cattivi sentimenti e agli atteggiamenti bellicosi, tanto che perfino le guerre venivano debitamente sospese. Furono proprio i Romani a inventare, in questo particolare periodo dell’anno, l’usanza del dono, in nome del loro dio (la strenna, vedi Capodanno).
Di probabile tradizione celtica è la data che inserì, nel 274 d.C., l’imperatore Aureliano, consacrando il 25 Dicembre al dio Sole. Questa festa ass
unse caratteri decorativi, oltre che celebrativi, ed è in questo periodo che nasce la tradizione del ceppo, preferibilmente di quercia, che i Romani dovevano lasciar bruciare per 12 giorni nelle loro case. A seconda di come il ceppo si consumava si era in grado di presagire gli eventi futuri e di capire quale sarebbe stato l’andamento dell’anno a venire. Non solo, l’atto di ardere il ceppo corrispondeva, in molte tradizioni italiche, abruciare mali, malattie, malefici e negatività, facendosi atto purificatorio per eccellenza. Nella nostra tradizione la luce del ceppo sarebbe stata sostituita dalle luci dell’albero e da quella a intermittenza che decorano la nostra casa donandole un tocco di magia.
Le origini del Natale “moderno”, invece, scavano un tunnel sotterraneo che attraversa tutti i secoli scorsi e traggono spunto da usanze borghesi, nell’incontro tra simbologie antiche e pagane con altre più vicine e occidentali. La festa in quanto tale è stata anticipata al 24 Dicembre ed è divenuta alibi ad un’esacerbata spinta al consumismo, in cui si fa a gara a chi fa regali più belli e più costosi. Per quanto lo shopping natalizio, in vista del dono, piaccia e contribuisca a “rendere tutti un po’ più buoni” e, per quanto fornisca magari un’ottima scusa per riappacificare spiacevoli beghe, si rischia di perdere di vista il valore sacro-simbolico di tale periodo.
Autore: Redazione
Messo on line in data: Dicembre 2004