SPIRITUALITA’ ORIENTALE: L’INDUISMO di Gaetano Dini
L’Induismo
L’Induismo è il complesso di esperienze religiose contenute nei Veda, Brahmana, Upanishad, Purana, nel Mahabharata, nel Ramayana, nei Tantra e nei testi dei maestri e riformatori dell’India medievale.
Si può parlare di religione induista fin dall’epoca delle Upanishad, le cui speculazioni filosofiche sono la conclusione delle intuizioni contenute nel Rigveda. Nelle Upanishad alla Via delle Opere (Karmamarga) che aveva per fulcro l’osservanza dei riti, la quale portò allo strapotere della classe sacerdotale, si affianca la Via della Conoscenza (Inanamarga) che permette all’uomo di raggiungere la liberazione senza più bisogno del supporto dei sacerdoti, ma con il meditare sull’identità tra Anima Universale (Brahman) e Anima Individuale (Atman).
Da questa identità deriva la concezione dell’eternità dell’anima, per cui la morte è solo il passaggio da un’esistenza a un’altra (Samsara), in un flusso continuo determinato dalle azioni (Karma) che l’uomo compie in ogni singola vita.
Questi due dogmi, Samsara e Karma, assieme alle pratiche ascetiche yoga sicuramente pre-ariane, costituiscono il fondamento dell’Induismo.
Altro fondamento della religione, è la teoria ciclica, secondo la quale l’universo è continuamente soggetto a un triplice processo di Emanazione, Durata e Riassorbimento nel corpo di Brahma attraverso il suo respiro. La durata di questo processo è calcolata in milioni di anni.
La Materia (Prakriti) da cui nasce il mondo esiste ab aeterno. Secondo alcune scuole, essa è cosciente e si evolve in base ad una legge di cui solo Dio è custode. Secondo le scuole teistiche, invece, la Materia è creazione di Dio.
Le scuole tantriche cercano di conciliare questo dualismo, affermando che la Prakriti è contenuta in Dio, ne è l’essenza. Dio sarebbe dunque Materia e Anima insieme.
Le tre correnti fondamentali dell’Induismo, sono quelle che si incentrano su Shiva, Vishnu e la Shakti (Potenza del dio).
Shiva è di solito chiamato Ishvar, dio nel suo aspetto terrifico. Vishnu è invocato come Bhagavan, dio nel suo aspetto soccorrevole e amoroso. La corrente Shakta, elaborata più tardi, si basa su culti antecedenti all’arrivo degli Ariani. A Mohenjo-daro sono stati infatti trovati simboli della dea e statuette che la raffigurano potenzialmente madre, con i fianchi enormi e i seni ben marcati, divinità della fecondità e della natura.
L’Induismo fece della Gran Madre la Shakti, colei senza la quale Dio non potrebbe generare l’universo. Dall’unione del Dio con la Dea nascono tutte le cose.
In certe sette, soprattutto nel Bengala e nell’Assam, si ritualizza il congiungimento sessuale degli adepti per consacrare l’unità del Dio con la Dea.
I nomi della Gran Madre sono vari: Kalì (la Nera), Durga (la Difficile a vincere), Parvati, Uma, Sita, Sati (nomi diversi di uno stesso principio).
Anche Shiva è divinità preariana. I popoli che abitavano la valle dell’Indo, erano chiamati sprezzantemente dagli Ariani, “adoratori del fallo”. E’ questo infatti il simbolo di Shiva che per mezzo di Shakti genera l’universo.
Shiva, dio della danza (Nataraja), con il suo movimento perpetuo crea, mantiene e distrugge il mondo. La raffigurazione di Shiva Nataraja è una delle più diffuse nell’arte hindu.
La via seguita dai Shivaiti è la Via della Conoscenza (Inanamarga).
I Vishnuiti seguono la Via della Devozione (Bhaktimarga), essendo la Bhakti la caratteristica del culto di Vishnu, precisamente nella sua forma di Krishnaismo. Vishnu figura nei Veda, ma è nei poemi epici che si delinea come reggitore del mondo. Nella Bhagavadgita, parte del poema epico del Mahabharata, Krishna è il dio guerriero, auriga di Arjuna, che incita a combattere contro i suoi parenti. Nel Bhagavatpurana, Krishna è invece il dio pastore, amante nei boschetti di Vrindavana di Radha e delle pastorelle (Gopi), simboli delle anime umane anelanti di unirsi a lui.
Krishna è un Avatara di Vishnu, cioè una sua discesa sulla terra allo scopo di ristabilire il dominio del bene. Vishnu è infatti invocato come Bhagvan, dio d’amore e misericordia.
Secondo la maggior parte degli studiosi, 10 sono le avatara di Vishnu: Matsya (il Pesce), Kurma (la Tartaruga), Varaha (il Cinghiale), Nrisimha (l’Uomo-Leone), Vamana (il Nano), Parashurama (Rama con la scure), Rama eroe del Ramayana, Krishna, Buddha e Kalkin, l’Avatara del futuro.
Tra le altre divinità del pantheon induista, sono Ganesha, dio degli ostacoli, invocato all’inizio di ogni opera, Surya, dio del sole, a cui fu dedicato il magnifico tempio di Konarak, Skanda Kartikeya, dio della guerra, Kama, dio dell’amore, Indra, dio del tuono e del fulmine. Questi dei sono posti su un gradino più basso rispetto a Shiva e Vishnu.
I VEDA (testi religiosi degli Ariani immigrati in India)
Con questo termine si comprendono i 4 Veda, i Brahmana, le Aranyaka e le Upanishad. I Veda propriamente detti sono il Rigveda, il Samaveda, lo Yajurveda e l’Atharvaveda. Il Rigveda è il Veda degli inni e contiene il materiale più antico e probabilmente anche inni composti e tramandati oralmente prima dell’arrivo degli Ariani in India. La civiltà in cui fu prodotto il Rigveda dovrebbe porsi intorno al III millennio a.C. mentre la data accettata dell’arrivo degli Ariani in India è il 1.500 a.C.
Nel Rigveda non si ha una religione con basi filosofiche. Ci sono gli inni, famoso quello cosmogonico, che sono intuizioni, domande sull’Essere. Gli inni sono dedicati a moltissime divinità che la religione indiana divide in terrestri, intermedie e celesti. Tra gli dei di maggiore importanza c’è Indra, dio del tuono, Vayu, il vento, Agni, il fuoco, Soma, la luna, Dyaus Pitar che corrisponde a Zeus Pater, Prithvi, la madre terra. Varuna è il dio che regge il mondo, Surya è il sole chiamato anche Mitra. C’è Rudra il terrifico, poi assimilato a Shiva, e ancora Savitri, Vishnu.
Le divinità femminili sono, Ushas, l’aurora, Saravasti, dea fluviale che sarà poi assimilata a Vac, dea della parola.
La legge che regge l’universo è il Rita, legge universale che più tardi diventerà il Dharma (dovere).
Il secondo Veda è quello delle Melodie, il Samaveda, che contiene la melodia con cui deve essere cantato ogni inno del Rigveda. La sua importanza non è letteraria, ma riguarda la storia della musica.
Lo Yajurveda, che costituisce insieme ai primi due la “trayi-vidya” o triplice scienza, contiene le formule sacrificali. Le figure degli dei si fanno più determinate. Inoltre mentre al tempo del Rigveda il sacerdote è solo l’intermediario tra l’uomo e la divinità, nello Yajurveda la conoscenza che egli ha delle formule rituali, dalla cui esattezza dipende la riuscita del sacrificio, lo pone quasi al di sopra degli dei. Egli può infatti piegarli al proprio volere con la perfezione del rito.
Comincia così lo strapotere della casta sacerdotale contro cui reagiranno il Buddhismo e lo Iainismo.
Il quarto Veda è l’Atharvaveda, quello delle Formule Magiche. Esso fu aggiunto solo più tardi in quanto il suo carattere magico lo ha fatto relegare dai Brahmani, in posizione inferiore. Si trovano in esso accenni e descrizioni dei culti primitivi antecedenti al Rigveda. L’Atharvaveda fu redatto prima del sec. VIII a.C. e riconosciuto come quarto Veda nel 200 a.C.
I Veda non hanno solo carattere letterario, non sono solo espressione lirica ma hanno funzione ritualistica. Il Veda è connesso al sacrificio, “yajna” che rappresenta il centro del culto vedico ed è essenzialmente una libazione od un’oblazione sul fuoco; le lingue di fuoco portano l’offerta agli dei.
Si distinguono due tipi di sacrifici, quelli Domestici in cui la presenza del sacerdote è rara, e quelli Grandi, fatti celebrare dal re o da un offerente per importanti occasioni.
Per i sacrifici Grandi occorrono 3 fuochi, uno rotondo, uno quadrato, uno a mezzaluna e 3 sacerdoti o gruppi di sacerdoti, il Hotar o Invocatore che deve conoscere gli inni, l’Udgatar o Cantore che deve conoscere le melodie e l’Adhvaryu o Sacrificatore che deve conoscere le formule sacrificali.
Al di sopra di tutti sta il Brahman che deve conoscere tutti e tre i Veda e presiede il sacrificio.
Dallo studio dei Veda si risale alla storia degli Ariani. Ai tempi del Rigveda essi erano stanziati nel Panjab, primo territorio conquistato. Ai tempi dello Yajurveda la loro sede è già più a est. Ai tempi dell’Atharvaveda gli Ariani occupano ormai tutto il bacino del Gange.
Mentre all’inizio sono organizzati in tribù rette da un re con potere limitato e coadiuvato da un’Assemblea, più tardi si hanno formazioni statali vaste ed ai tempi dell’ultimo Veda la società ha già assunto le sue linee definitive con delineato il sistema delle caste.
VEDANTA
La più conosciuta scuola di filosofia indiana che si basa sulle Upanishad. Il termine significa “fine o parte terminale dei Veda” e le Upanishad costituiscono appunto l’ultima parte dei Veda in senso lato. E’ anche il sistema filosofico indiano più conosciuto in Occidente dove si ignora la filosofia della Mimansa o dell’Azione, pensando la filosofia indiana solo come un sistema che si basa sulla Non Azione.
Esistono più scuole di Vedanta. Per la scuola Shankara, la Prakriti, o Materia, non ha realtà distinta dal Brahman o Spirito. Altre scuole considerano la Prakriti una forma della Shakti o Potenza creativa del Brahman e distinguono da entrambe la Maya o Illusione che trattano come una forma reale della Shakti. L’ambiente che circonda l’uomo non è quindi solo materiale ma anche spirituale ed etico.
BRAHMA
Dio della religione indiana. Concezione personale del nome neutro Brahman. Non presenta caratteristiche ben determinate come Vishnu e Shiva, con i quali forma la Trimurti (Tre Forme). Questa non deve essere interpretata come Trinità ma come triplice potenzialità del Dio unico e supremo. Brahma è considerato dalla religione brahmanica il creatore dell’universo a cui dà manifestazione con il suo respiro regolare. Il mondo viene così emanato e riassorbito nella mente del Dio. Il periodo in cui si svolge questo processo di emanazione, durata e riassorbimento, si chiama Kalpa, giorno e notte di Brahman e corrisponde a 4.320.000 anni (la durata varia secondo le scuole teosofiche brahmaniche).
Il Brahman è il termine della filosofia indiana indicante l’Assoluto, l’Anima Universale, ciò che esiste di permanente, di eterno, di non generato, di immutabile, di invisibile, al di là di ciò che appare ai sensi. La concezione di Brahman si trova elaborata nelle Upanishad dove Brahman viene considerato Essere e Non Essere. Di fronte all’impossibilità di giustificare la produzione dell’Essere dal Non Essere, la Chandogya-Upanishad definisce Brahman come fusione di Essere e Non Essere e come principio e fine di tutte le cose.
Al Brahman, principio di tutte le cose, anima universale, forza occulta insita in tutto, corrisponde l’Atman o Anima Individuale, Una ma presente in tutte le persone. Questa identità tra Brahman e Atman porterà nel sistema Vedanta, alla negazione della realtà del mondo fenomenico, negazione non ancora chiaramente espressa nelle Upanishad.
Il Brahmano è un membro della prima delle quattro caste formatesi in India nell’antica società ariana. La prima casta era la Brahmana o dei sacerdoti, la seconda casta era la Kshatrya o dei guerrieri, la terza casta era la Vaishya o dei contadini ed artigiani, la quarta casta era la Shudra o dei servi. La casta sacerdotale assunse da subito importanza enorme.
I Brahmana sono antichi testi indiani, composti circa tra il 1000 e l’800 a.C. dai Brahmani a commento dei Veda.
Sono il risultato dell’importanza assunta dal rito e dal prevalere del sacerdote il quale con l’esatta esecuzione del rito, piega infallibilmente il dio al volere del fedele.
I Brahmana terminano con un Aranyaka (Libri della selva) che a sua volta termina con un Upanishad. La presenza degli Aranyaka fa presumere che al tempo dei testi brahmanici fosse già stata elaborata la dottrina dei 4 Ashrama, secondo la quale un uomo di casta superiore deve essere prima Brahmacarin, cioè discepolo (studente) di un maestro presso cui imparare i Veda, poi Grihastha, cioè capofamiglia, quindi Vanaprastha, eremita che medita sul significato del sacrificio ed infine Sannyasin o asceta che medita sul mistero dell’Essere.
Il Brahmanesimo è una antica religione e filosofia indiana. I testi cui si rifà per il contenuto religioso sono i Veda, i Brahmana, i Purana. Tra le divinità maggiori che si incontrano nel Rigveda vi sono: Indra, dio della classe dei guerrieri, Agni, dio del fuoco, connesso al sacrificio vedico o yajna, in cui l’elemento essenziale è appunto il fuoco che consuma le offerte per portarle agli dei; si differenzia dalla puja, sacrificio preariano ancor oggi comune, nel quale si versano sull’oggetto sacro, fiori, olio, latte… Altri dei sono Soma, la luna, Vayu, il vento, Surya, il sole. I demoni sono invece di difficile configurazione. Nel Brahmanesimo Shiva e Vishnu, i maggiori dei nell’Induismo, vi sono appena accennati. Acquista invece importanza in questa religione, Prajapati, dio creatore, che ha forma maschile e femminile. La materia non è eterna e preesistente a Prajapati (Primo Padre?) ma egli contiene tutto in se stesso e impaurito dalla solitudine e mosso da un desiderio di creazione “possa io diventare molti” si scinde nella pluralità delle cose.
L’universo può anche essere generato dalla coppia Dyaus-Prithvi (Cielo-Terra), un essere androgino come Prajapati od ancora generato dall’uomo primigenio, il Purusha (Uomo) sacrificato agli dei.
Lentamente questi termini di dei unici scompaiono per dare luogo alla filosofia brahmanica delle Upanishad. All’origine viene posto Brahman, l’Assoluto inconoscibile, il Principio supremo da cui hanno origine tutte le cose che, nonostante venga personificato in Brahma il Creatore, colui che “respirando” produce l’universo, rimane un concetto filosofico. L’uomo non deve più seguire la “via delle opere” (karmamarga), l’osservanza dei riti ma la “via della conoscenza” (Jnanamarga).
L’uomo deve cercare ciò che c’è nel piccolo fiore di loto. Questo fiore fa da casa; nel suo interno vi è un piccolo spazio: quello che vi si trova dentro bisogna cercare, bisogna desiderare di conoscere; questo è l’Atman. Ciò che quaggiù è dell’uomo è ciò che non lo è. L’Atman invece non invecchia né viene distrutto (Chandogya Upanishad). Dall’identità di Atman con Brahman ne deriva che l’anima è eterna e la vita è solo un passaggio (Samsara), flusso di esistenze, mondo da un’esistenza all’altra, regolato dalla legge del Karma (Azione), cioè dalle azioni che l’uomo compie. Samsara e Karma rimarranno i cardini di ogni filosofia indiana.
UPANISHAD
Ultimo stadio della letteratura vedica. I Veda in senso lato sono formati Dalle Samhita (Inni), dai Brahmana (Testi rituali), dagli Aranyaka (Libri delle selve), e dalle Upanishad. Il termine significa “seduta” presso il maestro (guru) che trasmetteva al discepolo l’insegnamento segreto. La parola segreto, rahasyam, indica anch’essa le Upanishad. Esse costituiscono la base dei maggiori sistemi filosofici indiani. I concetti che espongono ineriscono all’Assoluto.
Le più antiche Upanishad sono: la Brihadaranyaka, la Chandogya, la Taittiriya, l’Aitareya, la Kaushitaki, la Kenaupanishad.
Sembra che esse siano state create per i Sannyasin, gli asceti. In India si formò la dottrina dei 4 stadi di vita (Ashrama). Probabilmente gli Ariani conoscevano solo i primi due stadi, quello dello studente e quello dell’uomo marito, reggitore della casa. Un terzo stadio fu aggiunto al tempo dell’Aranyaka, lo stadio di coloro che vivono nelle selve. L’uomo infatti, accortosi della vuotezza del rituale, avrebbe abbandonato la vita mondana e la pratica dei sacrifici per ritirarsi nella foresta con la propria moglie a meditare sul valore della vita. Il quarto stadio, quello degli asceti, è del tempo delle Upanishad. In questo stadio, l’uomo spezza tutti i legami che ancora lo uniscono al mondo e si abbandona allo Spirito Divino.
Le Upanishad contengono tre concetti fondamentali, quello del Karma, quello del rapporto tra Atman e Brahman e quello tra il Brahman ed il mondo oggettivo. Mentre per la religione vedica il Karma è il sacrificio, l’azione sacrificale, per le Upanishad è l’atto invisibile legato al suo effetto. Questo effetto provoca la rinascita o il flusso delle vite. Il secondo concetto è il rapporto tra Atman e Brahman, tra lo Spirito Individuale e lo Spirito Universale. Il terzo concetto è il rapporto tra il Brahman ed il mondo oggettivo, sua manifestazione.
Come il molteplice diventa Uno?
Una spiegazione dice che ci sono un certo numero di elementi materiali sostenuti dal Prana (respiro o spirito vitale di tali elementi), il quale è manifestazione di Brahman. Un’altra spiegazione sostiene che Brahman è l’Uomo Cosmico o Mahapurusha che emana lo spirito del mondo o Mahanatma, nel quale sono contenute tutte le qualificazioni, quindi la Psiche o Buddhi che unisce il mondo dello spirito a quello degli uomini.
PURANA
Testi religioso-mitologici dell’India antica, dedicati ognuno ai singoli dei del pantheon hindu. Ogni Purana dovrebbe di norma essere diviso in 5 parti che trattano della Creazione, dei periodi Cosmici, della Vita degli dei, dei Re, degli Uomini. I Purana sono 18, redatti entro il VII sec. d.C. ma contenenti materiale più antico. Il più famoso è il Visnupurana in 6 libri, testo sacro dei visnuiti.
Di contenuto visnuitico sono il Bhagavatpurana, il Naradpurana, il Varahpurana, il Vamanapurana, il Kurmapurana, il Matsyapurana e il Garudpurana, tutti narranti i miti delle incarnazioni di Visnu.
Di matrice shivaitica sono invece il Vayupurana, il Lingapurana e il Brahmandapurana. Interessante è il Bhavisyapurana che contine il culto zoroastriano. I Purana sono importanti oltre che per il contenuto religioso, anche come fonte storica, dando informazioni sulle dinastie dei Nanda, dei Maurya, degli Andhra e dei Gupta.
TANTRA
Complesso di testi dottrinali indiani che costituiscono il patrimonio sacro di alcune sette, illustrano aspetti tecnici del culto e dottrine di carattere mistico e metafisico. Essi si distinguono in tre categorie, a seconda che appartengano ai seguaci di Visnu (Vaisnava), di Siva (Saiva), di Durga (Sakta).
Nel primo caso, prendono il nome di Samhita (Raccolte), nel secondo di Agama (Tradizioni), nel terzo sono detti propriamente Tantra (Libri), vocabolo usato genericamente per indicare tutti questi testi. Tali opere, scritte in sanscrito, hanno lineamenti in comune e risentono delle tendenze devozionali della Shakti, delineando i principi fondamentali del pensiero religioso indiano medievale.
La materia trattata in questi testi, comprende quattro parti: Jnana, Conoscenza intesa come conoscenza filosofica in generale, come conoscenza specifica delle formule magiche (Mantra) e delle tecniche della meditazione (Dhyana); Yoga o Concentrazione, rivolta al conseguimento di poteri magici soprannaturali; Kriya o Esecuzione, riguardante le norme per la fabbricazione di immagini e la costruzione di templi; Carya o Condotta, che espone le norme per l’esecuzione dei riti. La datazione dei Tantra, risale al VII-VIII sec. d.C.
SHAKTI
Termine della religione e filosofia indiana che significa “Potenza”. E’ l’entità femminile, potenza del dio, colei che risvegliandolo dal suo sonno immoto, provoca la creazione. Oltre che come elemento secondario, la Shakti è adorata anche come elemento primario, cioè Gran Madre, unica forza creatrice. Come elemento secondario essa è invece associata a Shiva, col nome di Parvati e a Vishnu col nome di Lakshmi. E’ adorata dagli Shakta, importante corrente dell’Induismo.
SHIVA
Divinità del pantheon indù che secondo alcuni sarebbe una fusione tra il dio vedico Rudra (il Rossastro) con l’anario Shiva che deriverebbe dalla parola tamilica Sheyyon. E’ dio della montagna, della vegetazione, signore degli animali, dio della danza che con il suo movimento perpetuo crea il mondo. Il simbolo di Shiva è il fallo, simbolo dell’epoca di Mohenjo-daro. Il suo culto ebbe il sopravvento su quello degli dei vedici ed il Lingam o fallo, significò il supremo principio maschile, il simbolo della creazione.
Shiva è anche il Maheshvara, il Grande Dio, rappresentato in arte con tre teste. Da un lato quella femminile del creatore, dall’altro quella maschile di distruttore, al centro il viso impassibile di Shiva che mantiene la creazione.
Questi aspetti di Shiva sono espressi anche nella sua danza cosmica. Shiva Natraj è di solito raffigurato con 4 braccia: una regge il tamburello che rappresenta il suono cioè il primo movimento della creazione; un’altra è sollevata nell’abhaya mudra o gesto di protezione, cioè del mantenimento del mondo; una terza impugna la scure, simbolo della distruzione e la quarta regge il fuoco anch’esso simbolo della distruzione. Shiva danza con un piede sul demone dell’ignoranza e tiene l’altro sollevato a simbolo di grazia e liberazione. La figura di Shiva si riconosce anche dal bianco toro nandi che sta ai suoi piedi.
VISHNU
Una delle principali divinità dell’Induismo il cui culto ha origini antiche e risale al periodo vedico (1500 a.C.). Uno dei più noti miti vedici di Vishnu dice che egli è colui che misurò il mondo con tre passi, diventando quindi il creatore dello spazio e il generatore di vitalità. E’ spesso accostato ad Indra, il dio della pioggia e della folgore e nei Brahmana è assimilato come anche Prajapati al rito stesso ed è localizzato nell’ombelico del mondo.
Nei Veda Vishnu è essenzialmente una divinità solare e si dice che i raggi del dio sole, Surya, sono una manifestazione dei poteri legati a questa divinità. Egli, come del resto Shiva, è concepito dai suoi seguaci come anima universale ed entità cosmica che nella sua immensità abbraccia tutto l’universo e tutto permea e comprende. Secondo la tradizione, questo dio assume di tempo in tempo aspetto terreno, per premiare i suoi devoti, liberare il mondo dal male, impedire qualche calamità, esplicando così le sue caratteristiche di divinità soccorrevole dei buoni. Mediante queste incarnazioni di Vishnu nelle quali penetra in corpi ferini ed umani, egli esplica le sue funzioni di conservatore del mondo, che gli sono assegnate nell’ambito della Trimurti.
Gli Avatara, o discese di Vishnu, sono molti. Sono un aspetto del Visnusimo per cui ogni qual volta la legge morale si affievolisce il Dio misericordioso scende tra gli uomini per ristabilire la coscienza del bene. Assumendo le fattezze di Pesce (Matsya), salvò il primo uomo, Manu, dal diluvio universale. Come Tartaruga (Kurma), sostenne alla base il monte Mandara con il quale gli dei frullarono l’oceano di latte, per ottenerne la bevanda dell’immortalità. Come Cinghiale (Varaha) egli sollevò la terra da un abisso marino dove era stata fatta sprofondare dal demone Hiranyaksa. Come Uomo-Leone (Narasimha) uccise il demone Hiranyakasipu, fratello di Hiranyaksa, che tormentava gli uomini. Come Nano (Vamana) fu inviato presso il penitente Bali dagli dei, preoccupati questi dei poteri che tale asceta aveva acquistato con le sue austerità.
Avendo chiesto all’asceta tanta terra quanta ne poteva coprire con tre passi, all’improvviso fattosi gigantesco, percorse i tre mondi. Come Parasurama (Rama con la scure) distrusse una folla di protervi ksatriya. Come Rama uccise Ravana, il demone e re dei giganti, che gli aveva rapito la consorte Sita. Come Krishna insegnò all’eroe Arjuna la via della salvezza.
Gli ultimi due Avatara sono quelli di Buddha e Kalkin. L’aver enumerato Buddha come Avatara, risponde ad un’esigenza di sincretismo religioso, mirante ad abbracciare nell’ambito dell’Induismo la religione buddista. L’ultimo Avatara, Kalkin, si verificherà in futuro ed in esso Vishnu assumerà le vesti di giudice universale. In questo Avatara, Vishnu scenderà in terra sul cavallo bianco (Karka), brandendo la spada per rinnovare l’avvento dell’età dell’oro. Il sommo insegnamento agli uomini, Vishnu lo diede nel suo Avatara di Krishna. Tale insegnamento è contenuto nella Bhagavadgita (il canto del beato) che può essere considerato come il vangelo dell’Induismo. Qui Krishna incita Arjuna a combattere contro i suoi parenti in quanto questo è il suo dovere di guerriero. Egli deve quindi combattere con spirito distaccato e questo non influenzerà negativamente il suo Karma. Infatti l’unico fine cui deve mirare l’uomo è il Moksa, la finale liberazione dal ciclo delle nascite (Samsara). Il dio aggiunge che Arjuna non ucciderà realmete i suoi cugini perché essi come tutti gli uomini, sono dotati di un’anima immortale che passa da un corpo all’altro nelle innumerevoli esistenze. I seguaci di Vishnu, lo adorano come dio supremo e come tale gli danno l’appellativo di Isvara (Signore). La fede in questo dio si manifesta soprattutto in atteggiamenti tradizionali ed i suoi seguaci credono che la via della devozione assoluta al dio o bhakti-marga, sia l’unica che porti alla liberazione finale.
TRIMURTI
Vocabolo sanscrito che significa “colui che è dotato di tre aspetti” e corrisponde ad un concetto religioso fondamentale dell’Induismo, secondo il quale il dio supremo si presenta sotto gli aspetti di Creatore, Conservatore, Distruttore del mondo. Il dio come Creatore prende il nome di Brahma ed è l’incarnazione della qualità della passione (rajas), dalla quale il mondo fu chiamato a esistere. Il Conservatore del mondo è invece Vishnu, incarnazione della qualità della bontà (sattva), da cui il mondo è conservato. La grande popolarità di cui Vishnu godette è dovuta alla credenza che questo dio assuma di tanto in tanto sembainze terrene. Queste incarnazioni, sono dette Avatara.
Shiva è invece il distruttore del mondo, incarnazione della qualità della tenebra (tamas) e del fuoco distruttore. Shiva presenta un culto di credenze magiche. Da un lato egli è l’orrendo dio della morte e viene detto Bhutesvara “signore dei defunti”; nello stesso tempo però è anche grande asceta che si dedica a penitenze inenarrabili e che con l’occhio del veggente abbraccia tutto il mondo. Infine Shiva è anche il trionfatore della morte, il benefico salvatore e soprattutto grande dio della fecondità. Solitamente la Trimurti viene rappresentata con un corpo con tre teste; al centro quella di Brahma, a destra quella di Vishnu, a sinistra quella di Shiva.
KRISHNA
Avatara di Vishnu. La figura di Krishna è complessa, rappresentando il dio guerriero nella Bhagavadgita, il pastore nel Bhagavatpurana, amante di Radha e delle pastorelle (Gopi) nei boschetti di Vrindavana, amante delle anime umane. L’unione del dio con Radha simboleggia l’unione di dio con l’anima umana, ansiosa di fondersi per sempre con la divinità.
Il Krishnaismo è il movimento Bhakta o devozionale, sviluppatosi nell’India meridionale e nel Bengala. Alla base di questa religione sta il concetto di Krishna come Bhagvan, dio benefico e misericordioso che scende sulla terra per riportare gli uomini al bene.
MAHABHARATA
Famosissimo poema epico indiano in 100.000 distici, il cui nucleo narra avvenimenti che si possono far risalire al 1000 a.C.. L’opera fu nel tempo continuamente ampliata con la descrizione di imprese di vari eroi. Immenso repertorio delle saghe del brahmanesimo, il Mahabaharata si presenta come un’enciclopedia di dottrina politica, di giurisprudenza, di teologia morale e di norme del vivere sociale. La storia originaria da cui deriva il titolo del poema, è quella della lotta di due tribù, i Kaurava e i Pandava, discendenti della stirpe di Bharata.
Il Bhagavadgita è un episodio del Mahabaharata.
E’ considerato uno dei più alti prodotti della spiritualità indiana. Narra il dialogo tra Arjuna e Krishna, suo auriga. Ariuna è titubante di combattere contro i propri parenti, ma Krishna lo incita a combattere perché è suo dovere farlo e la morte che darà ai parenti nemici è solo morte apparente di fronte al ciclo continuo di nascite e rinascite.
RAMAYANA
Poema epico indiano. Scritto in sanscrito classico da Valmiki, l’epopea del poema è chiamata Adikavya, cioè modello di tutte le opere successive. Il testo, distribuito in 7 libri, espone la leggenda di Rama, figlio fedele e devoto del re Dasaratha. Rama fu poi divinizzato e presentato come Avatara di Vishnu. Particolare interesse è rivolto alla natura in tutte le sue manifestazioni. I personaggi principali sono fortemente idealizzati. Il mondo del poema è un mondo di re, circondati dalle loro corti fastose, assistiti da famosi asceti come Vicvamitra e Vasistha. In contrapposizione a questo, sta il mondo silenzioso degli eremiti, stimati e temuti da tutti.
Autore: Gaetano Dini
Messo on line in data: Settembre 2019