TOMMASO AUTORE DEL PRIMO VANGELO? di Lawrence Sudbury

I testi di Nag Hammadi

Da quando, nel 1945, un pastore analfabeta trovò a Nag Hammadi una giara contenente strani rotoli di papiro, dando inizio, dopo varie peripezie, a quella che si sarebbe rivelata la più grande scoperta in campo storico-filologica cristiano del ‘900 [1], centinaia di libri sono stati scritti sul contenuto di quei testi.
Buona parte di tali libri si sono concentrati, parzialmente o completamente, su un manoscritto relativamente breve (solo 113 -114 loghia) [2], la cui natura ha letteralmente diviso la cristianità: il “Vangelo di Tommaso” (o, più correttamente, come recita il I loghion, “Le parole segrete che Gesù vivente ha pronunciato e Didimo Giuda Tommaso ha trascritto“).

Quando si parla di divisione della cristianità, si intende, al di là di ogni notazione teologica, una frattura che, dal punto di vista scientifico, si estende a qualunque aspetto di questo straordinario scritto: dalla sua struttura originaria (con differenti visioni sulla percentuale di loghia evidentemente spuri) alla sua connotazione ideologica (con estremi che vanno dal ritenerlo il “primo Vangelo” e l’unico che riporti correttamente le parole di Yeshua Ben Yosef, colui che conosciamo come Gesù, al considerarlo solo un esempio esasperato della eresia gnostica) e, forse alla base di tutto, alla sua datazione, con due scuole ben definite, l’una che individua una data di composizione situabile intorno al 50 d.C., quindi più o meno contemporanea alla redazione dei Vangeli canonici, la seconda che pensa ad una redazione ben posteriore, situabile intorno al II secolo [3]. Stranamente, però, all’interno della grande massa di analisi del Vangelo, relativamente poco spazio è stato concesso allo studio dell’autorialità dello scritto.

E’ evidente che la definizione stessa di autore per un testo come il Vangelo di Tommaso è strettamente dipendente dalla scelta di campo relativa alla scuola di pensiero a cui si fa riferimento. Se, infatti, ritenessimo accettabile la posizione di quella che abbiamo definito “scuola del II secolo”, risulterebbe assolutamente impossibile esprimerci sull’autore testuale: probabilmente non potremmo neppure parlare di “un autore” ma di più autori provenienti da una delle numerosissime comunità gnostiche presenti nel periodo di composizione [4].
Scegliendo, invece l’ipotesi contraria come sfondo su cui lavorare, sia intendendo tale ipotesi in forma radicale (cioè ritenendo che l’intero corpus testuale sia stato redatto verso la metà del I secolo) che in forma sincretica (con l’esistenza di un nucleo centrale della metà del I secolo, a cui sono state aggiunte stratificazioni posteriori), la conoscenza dell’autore assume un significato ben più pregnante per la maggiore significatività dei quella “firma iniziale” che attribuisce l’opera all’apostolo Tommaso [5]. Che, infatti, tale firma sia originale (cioè scritta direttamente dall’autore) o che sia, come appare essere più probabile, un’attribuzione posteriore, poco importa: in entrambi i casi ci troveremmo di fronte ad una “marca di autorialità” forte a tal punto da porre il nome del “trascrittore” in una posizione iniziale, quasi ad avvaloramento dei loghia successivi.

Sorge, dunque immediatamente spontaneo domandarsi: chi è questo Didimo Giuda Tommaso? Cosa sappiamo di lui? La risposta a questo quesito è certamente complessa, dal momento che ci troviamo di fronte ad una delle figure più misteriose e, per alcuni versi, contraddittorie del Nuovo Testamento.
Per tentare di ricostruire qualcosa della sua biografia e del suo ruolo (con relativo significato) all’interno dell’immaginario collettivo protocristiano dobbiamo affidarci ad almeno tre ordini di fonti: fonti essoterico-evangeliche, fonti mitologico-didascaliche e fonti gnostico-esoteriche.
Per quanto riguarda le prime, in realtà il Vangeli sinottici forniscono ben poche informazioni riguardo a Tommaso. Il suo nome è ricordato in tutte le liste di Apostoli [6] , ma solo in Giovanni gli si attribuisce un ruolo attivo e una personalità distinta. Lo troviamo, innanzitutto, quando Gesù decide di ritornare in Giudea a visitare Lazzaro e “Tommaso, detto Didimo [gemello], disse ai suoi compagni: «Andiamo a morire con lui» [7]. É ancora Tommaso che, durante il discorso precedente l’Ultima Cena, osa obiettare a Gesù: “Tommaso gli disse: Signore, noi non sappiamo dove tu vada; come possiamo conoscere la strada?” [8]. Ma, soprattutto, Tommaso è ricordato per la sua incredulità quando gli altri apostoli gli annunciano la Resurrezione del Cristo: “Se non vedrò sulle sue mani i segni dei chiodi e non metterò un dito nelle ferite dei chiodi, non crederò” [9], cui fa riscontro, otto giorni dopo, il suo atto di fede, che provoca la reprimenda di Gesù: “Poiché mi hai visto, Tommaso, hai creduto. Beati quelli che non avendo visto crederanno” [10].

Anche tenendo conto che quest’ultimo passaggio potrebbe tranquillamente essere una interpolazione posteriore di scuola giovannea in funzione anti-tommasina, ciò che resta è davvero poco per definire la realtà di un uomo di cui, su base evangelica, possiamo solo arguire che fosse un coraggioso seguace del Messia ma anche una personalità critica e fortemente razionale. Non ci resta che affidarci, dunque, ai due altri ordini di fonti che abbiamo ricordato: fonti mitologico-didascaliche e fonti gnostico-esoteriche. In realtà, una definizione dei singoli testi in una categoria o nell’altra è pressoché impossibile: la maggior parte della letteratura apocrifa su Tommaso è di stampo chiaramente gnostico e solo un diverso grado di profondità e una minore patina “favolistica” dell’uno o nell’altro testo può far propendere per una collocazione in ambito esoterico piuttosto che in ambito mitologico. Ciò che, comunque, è certo, è che in entrambi i raggruppamenti la presenza di interessanti dati di comprova storica fanno pensare che in gran parte di questi racconti sussista un substrato di verità [11].

Tra i testi più ricchi di informazioni riguardo Tommaso in nostro possesso, sebbene gran parte di tali informazioni risultino chiaramente di carattere mitologico, vi è sicuramente quello conosciuto col nome di Acta Thomae, giuntoci, pur con alcune variazioni, sia in greco che in siriano. Il testo, che ha certamente alcuni elementi che possono in qualche modo ricondurlo al pensiero gnostico e che alcuni ritengono (probabilmente erroneamente) addirittura opera di Bardessanes [12], racconta certamente storie a dir poco stravaganti, ma risulta sicuramente interessante, quantomeno per la sua antichità [13] . Von Harnack e numerosi altri studiosi situano il luogo di composizione ad Edessa e ciò avvalorerebbe notevolmente l’affermazione degli Acta secondo cui i resti dell’Apostolo, provenienti dall’est, sarebbero stati venerati in quella città [14], ma la stravaganza del racconto può essere giudicata già dal fatto che in più punti vi si afferma che Tommaso sarebbe stato il fratello gemello di Gesù [15].

Sostanzialmente gli Acta raccontano che quando gli Apostoli si divisero, a Tomaso toccò l’evangelizzazione dell’India ma egli si dichiarò immediatamente incapace di un’opera tanto impegnativa. Allora, Gesù apparve miracolosamente a Abban, un inviato di Gundafor, signore di un regno dell’India e, letteralmente, gli “vendette” Tommaso come schiavo perché servisse il re come carpentiere. Abban e Tommaso navigarono fino ad Adrapolis e, appena sbarcati, parteciparono ai festeggiamenti nuziali della figlia del re. A questo punto, dopo strani prodigi, Cristo riapparve sotto le sembianze di Tommaso ed esortò la sposa a mantenersi vergine. Giunto poi in India, Tommaso venne posto a dirigere la costruzione del palazzo di Gundafor, ma spese tutto il denaro che gli era stato affidato per aiutare i poveri. Per questo venne imprigionato ma riuscì miracolosamente a fuggire e Gundafor venne convertito. L’Apostolo cominciò, allora, a predicare nel Paese e, dopo strane avventure con draghi e asini selvaggi, arrivò alla città di un tale re Misdai. Qui convertì la moglie di questi Tertia e suo figlio Vazan e per questo il re lo condannò a morte. Tommaso venne dunque portato su una collina fuori città e trafitto dalle lance di quattro soldati, per poi essere sepolto nel mausoleo reale. Da qui, però, i suoi resti furono portati in occidente, appunto ad Edessa.

E’ assolutamente evidente che tutto il racconto ha un’impronta fortemente didascalica (con frequenti scivolamenti verso la pura fantasia). Ciò, però, non significa che tutto ciò che vi è narrato sia da scartare. E’ sicuramente interessante, ad esempio, che storicamente, attorno al 46 d.C. le regioni sub-himalayane conosciute oggi come Beluchistan, Punjab occidentale e Sind, oggi facenti parte dei territori dell’Afghanistan e del Pakistan, fossero effettivamente governate da un re chiamato Gondophernes o Guduphara [16]. Allo stesso modo, è molto probabile che il re Misdai (o Mizdai, a seconda delle versioni) fosse, in effetti, semplicemente il nome iranizzato del re Vasudeva di Mathura, successore storico del sovrano dell’India sud-occidentale Kanishka. Ovviamente potremmo pensare che l’autore degli Acta abbia solo voluto aggiungere un po’ di verisimiglianza al suo racconto utilizzando nomi indiani, ma già dall’inizio del secolo scorso era stato fatto notare [17] che, in questo caso, non si spiegherebbe la ragione di una storpiatura, chiaramente dovuta a più passaggi orali, dei loro nomi. D’altra parte, la tradizione di una predicazione tommasina in oriente ha radici antichissime sia nella Chiesa cattolica che in quella ortodossa.

La sua presenza a Edessa è quasi indubitabile, non tanto per i collegamenti che Eusebio di Cesarea [18] fa tra la predicazione del santo e l’arrivo in città dell’Apostolo Taddeo, da lui chiamato [19], quanto per il resoconto di Egeria, monaca del IV secolo fa alle sue consorelle di un viaggio a Edessa, in cui, tra l’altro, scrive: “[…] al nostro arrivo abbiamo riparato in una chiesa costruita in memoria di San Tommaso […] qui abbiamo potuto leggere anche alcuni scritti sulla vita di Tomasso in città” e per l’intero corpus tradizionale che vuole Tommaso evangelizzatore di Siria e Persia, così come affermato anche da SS. Benedetto XVI [20]. Ebbene, proprio a Edessa Tommaso è da sempre onorato come Apostolo dell’India. Numerosi inni, attribuiti a Sant’Efrem, trovati in codici dell’VIII e IX secolo narrano della traslazione della ossa di Tommaso dall’India da parte di un mercante. Tale traslazione è tradizionalmente situata attorno al 232 d.C. e i resti del martire sarebbero rimasti nella città mesopotamica (oggi la turca Urfa) per circa 1000, fino a che, nel 1258, dopo una breve sosta a Chio, furono trasportate a Ortona, in Abruzzo, dove giunsero il 6 settembre di quell’anno [21].

Attestazioni simili sono, d’altra parte, rinvenibili in Ambrogio, Paolino e, più tardi Gregorio di Tours [22] e, anche dal punto di vista storico, esistono possibilità di controprova di una presenza cristiana molto antica in India: a Malypore, presso Madras (cioè nella regione in cui Tommaso si sarebbe tradizionalmente spinto) esiste una stele cristiana in lingua Palhavi risalente almeno al VII secolo; nella regione del Malabar, a sud dell’India, una comunità cristiana di liturgia siriaca esiste sicuramente dal V secolo e viene considerata il primo nucleo dell’odierna Chiesa Siro-malabarita (che, significativamente, ricorda Tommaso come proprio fondatore); nel VI secolo Cosma Indicopleuste [23] segnala una comunità cristiana a Male (forse Malabar) e sulla sua scorta, pare che re Alfredo il Grande d’Inghilterra, intorno all’880 d.C. mandasse ambasciatori a incontrare tale comunità [24]; infine, Marco Polo, nel suo Milione, segnala una tale comunità come fiorente nel sud dell’India. Va inoltre ricordato, per quanto dubbia, la presenza di un tale Vescovo Giovanni, di rito siro-caldeo, “proveniente dall’India e dalla Persia” [25] al Concilio di Nicea del 325, anche se la genericità della nota non può fornire alcuna testimonianza attendibile sull’esistenza di cristiani indiani considerati come parte integrante del cattolicesimo a tale data.

Resta ancora, però, da stabilire se tale Chiesa sia realmente databile ad una predicazione tommasina e non piuttosto alla penetrazione in India di profughi cristiani della Persia (in fuga dalla persecuzione dell’imperatore Shapur del 345 d.C.) o di missionari della Siria al seguito di tale Thomas Cana, sicuramente giunti a sud di Madras intorno al 745 d.C., ma, anche con questi dubbi, la presenza di Tommaso in estremo oriente attestata dagli Acta risulta, quantomeno, possibile, rendendo questo documento forse l’attestazione più veritiera (per quanto parzialmente) sulle vicende dell’Apostolo dopo la Pentecoste. Altri testi che trattano del santo risultano, francamente, ben più leggendari e irrealistici. E’ il caso, ad esempio del Vangelo dell’infanzia di Tommaso, uno scritto evidentemente gnostico del II secolo, in siriano, che narra una specie di sequela di atti miracolosi compiuti da Gesù prima della predicazione pubblica (tra cui l’episodio notissimo dei dodici passeri che Gesù bambino, a cinque anni, avrebbe modellato nella creta per poi dar loro vita), più simile ad una sorta di raccolta di favolette moraleggianti che ad un testo religioso. Questo Vangelo, i cui primi manoscritti in nostro possesso risalgono al VI secolo, ma che viene già citato da Ireneo nel II secolo [26], comunque, copia ampiamente da Luca e non dice nulla del suo autore, così come nulla ci dice la ben più tarda “Apocalisse di Tommaso”, uno scritto che chiaramente riprende l’Apocalisse giovannea e che i più datano oltre il VI secolo.

Tenta di colmare le molte lacune sulla vita di Tommaso Jacopo da Varazze, nella sua Legenda Aurea [27] un “santorale” organizzato secondo l’anno liturgico che, nella maggior parte dei casi, si presenta particolarmente “creativo”: secondo il vescovo ligure la storia di Tommaso si intersecherebbe, infatti, ovviamente senza alcuna riprova storica, con l’Assunzione di Maria, dal momento che, dopo la morte della Vergine, Gesù stesso avrebbe fatto porre il suo corpo in un sepolcro, poi, dopo tre giorni, lo avrebbe riunito all’anima e accolto in cielo, ma la cintura di Maria sarebbe caduta, ancora stretta, nelle mani di Tommaso, secondo alcuni, come segno di particolare predilezione, secondo altri, per vincere la sua incredulità.

Lasciando da parte queste fantasticherie a sfondo mitico- parabolistico di tipico gusto medioevale, vale la pena di notare un elemento di estrema importanza. Si è parlato di Acta Thomae, di Vangelo dell’infanzia di Tommaso, di Apocalisse di Tommaso: perché così tanti riferimenti ad un personaggio che, come abbiamo visto, evangelicamente risulta a dir poco “minore”? Perché attribuire così tanta importanza alla presunta testimonianza di un Apostolo a cui il Canone dedica pochissimi versetti? Tommaso, di cui a stento conosciamo il vero nome, nei primi due secoli del cristianesimo doveva essere considerato una grande autorità in campo dottrinario, quantomeno dal punto di vista di quella che genericamente (e spesso con un po’ di superficialità) viene definita corrente gnostica.

Ciò appare chiaro già dalla Pistis Sophia [28], in cui si afferma che “a tre testimoni” era stato ordinato di scrivere tutte le parole di Gesù: Tommaso, Filippo e Matteo. Maria Maddalena, che nel Pistis Sophia è uno dei discepoli prediletti, arriva ad affermare chiaramente: “Ora, mio Signore, ascolta, che io possa parlare apertamente, dal momento che hai detto «Chi ha orecchi per intendere, intenda». Riguardo a ciò che hai detto a Filippo: «Tu e Tommaso e Matteo siete i tre a cui è stato affidato di scrivere ogni parola del Regno della Luce e di rendere ad esso testimonianza», ascolta ora la mia interpretazione di queste parole. Questo è il tuo potere della luce un tempo profetizzato da Mosè: «Attraverso due e tre testimoni tutto verrà stabilito. I tre testimoni sono Filippo e Tommaso e Matteo».” [29]
Insomma, secondo il Pistis Sophia, Tommaso sarebbe una delle tre colonne portanti della nuova Chiesa di Cristo e questo spiegherebbe, a livello esoterico, sia l’importanza attribuita alla sua “testimonianza”, sia la più diffusa interpretazione gnostica o, almeno, iniziatica del nome stesso dell’Apostolo.

Dobbiamo notare, tra l’altro, che Tommaso, o meglio Toma (o Thoma), derivando dall’aramaico “T’oma”, che significa “gemello” è, in realtà una tautologia con l’altro soprannome, più volte menzionato nei Sinottici, di Didimo, che, derivando dal greco Didymos (διδυμος), significa anch’esso “gemello”. Sostanzialmente, dunque, il reale nome dell’Apostolo sarebbe quello espresso nell’incipit del suo Vangelo, e cioè Yeudha T’oma, Giuda il Gemello. Ma gemello di chi?
Lasciando da parte la già menzionata e piuttosto inverosimile fratellanza uterina con Gesù [30], il significato di tale gemellanza sarebbe stato, secondo la tradizione antica, metafisico e misterico: Tommaso sarebbe stato il gemello spirituale di Gesù e gli sarebbe stato pertanto consentito l’accesso ad insegnamenti segreti [31].
Ecco, dunque, che il cerchio comincia a chiudersi. Tommaso è uno dei designati a riportare le parole del Cristo e, dunque, a fondare la sua nuova Chiesa, ma è anche colui che più di ogni altro è vicino al Signore, così vicino da essere definito “il più simile a lui”, il suo “gemello” (o, se il termine non fosse venuto a designare qualcosa di completamente diverso, la sua “anima gemella”).

Ciò si rispecchia perfettamente nelle scarsissime menzioni che Tommaso (continuiamo, per convenzione, a chiamarlo così) fa di se stesso nel suo Vangelo. Sostanzialmente, egli parla di sé solo nel loghion 13, in cui scrive:

“Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate un paragone e ditemi a chi sono simile». Rispose Simon Pietro: «Sei simile ad un angelo giusto». Rispose Matteo: «Somigli ad un saggio e retto filosofo». Rispose Tommaso: «Maestro, la mia bocca non è idonea per dire a chi sei simile». Gesù gli disse: «Io non sono più il tuo Maestro, giacché tu ti sei inebriato bevendo alla copiosa sorgente d’acqua viva che io stesso ho gustata». Poi lo prese in disparte e gli disse tre parole. Quando Tommaso tornò dai suoi compagni questi gli domandarono: «Cosa ti ha detto Gesù?» E Tommaso rispose: «Se io vi dicessi una sola delle parole che Lui mi ha detto, voi prendereste delle pietre per lapidarmi ed un fuoco verrebbe fuori dalle pietre e vi brucerebbe».”

Ecco, dunque, che Tommaso è l’iniziato per eccellenza, il discepolo che diventa simile al Maestro e può venire a conoscenza degli ultimi, forse terrificanti, segreti finali e poco importa se stiamo parlando dello stesso discepolo che evangelizzò poi l’Asia centrale e l’India o di una figura che, spogliata da leggende e sovrastrutture posteriori, si presenta infine come molto meno formalmente ieratica e molto più sostanzialmente vicina alla Divinità. Le due cose non si elidono reciprocamente, intendiamoci: il Tommaso evangelizzatore di Edessa, forse martire nei pressi di Madras, può essere tranquillamente il “didymos” di Gesù, ma non è questo che conta. Ciò che importa realmente è la sua comunanza, diremmo quasi la sua “simpatia” [32] con il Messia. Solo da qui nasce la sua autorità per una vasta schiera di protocristiani, la sua comunanza con il Cristo [33] ma anche la sua possibilità di trascrivere le “parole segrete” del suo “Maestro”, quelle stesse parole che, forse assommate ad altre interpretazioni posteriori, riempiono una porzione del Codice II di Nag Hammadi e che, a detta di molti, formano la più importante testimonianza storica sull’uomo che circa un terzo del mondo definisce Dio.

 

Autore: Lawrence Sudbury
Messo on line in data: Febbraio 2009

 

Note
[1] Per una descrizione delle vicende relative al ritrovamento dei testi di Nag Hammadi vedi L. Sudbury, “La scoperta del primo Vangelo?”, www.centrostudilaruna.it
[2] La variabilità del numero dipende unicamente dall’inclusione o meno nel corpus testuale dell’ultimo loghion, ritenuto pressoché unanimemente spurio dagli studiosi di tutto il mondo.

[3] A tal proposito vedi L. Sudbury, “Vangelo di Tommaso: il problema della datazione”, www.edicolaweb.net
[4] Per la presenza, l’estensione e la localizzazione di tali comunità, nonchè per l’uso di una scrittura collettiva da parte dei loro componenti, cfr. R. Smoley, Forbidden Faith: The Secret History of Gnosticism, Chicago, HarperOne, 2007, pgg. 61-103

[5] Queste sono le parole segrete che Gesù il Vivente ha detto e Didimo Giuda Tommaso ha trascritto.
[6] Cfr. Mt. 10, 3; Mc. 3,18; Lc. 6, At. 1,13
[7] Cfr. Gv. 11, 16
[8] Cfr. Gv. 14, 5
[9] Cfr. Gv. 20, 25
[10] Cfr. Gv. 20, 29
[11] Cfr. AA.VV., Catholic Encyclopedia, New York, The Mary Fundation, 2002
[12] Vescovo di Edessa (154-222), creatore di una concezione eretica secondo la quale gli astri avrebbero avuto un ruolo nel destino dell’uomo. Introduceva la sua teologia nei canti popolari, così l’eresia fu promulgata e propagata.
[13] Harnack lo situa addirittura all’inizio del III secolo, prima del 220 d.C.. Cfr. A.Von Harnack, Chronologie, II, p. 172
[14] Cfr. C. Bonnet, Acta apostolorum apocriphorum, Lipsia, Schmidt, 1891
[15] Più avanti analizzeremo il reale significato dello strano nome di Tommaso: in realtà l’Apostolo si chiama, come evidente dall’incipit del suo Vangelo, Giuda, mentre sia Tommaso (Toma) che Didimo significano unicamente, rispettivamente in siriano e greco, “gemello”, il che non giustifica minimamente la curiosa interpretazione degli Acta, né l’ipotesi di Harris che legherebbe tale attributo ad un precedente forte culto dei Dioscuri ad Edessa (cfr. L. R. Bailey, “The Cult of the Twins at Edessa”, Journal of the American Oriental Society, Vol. 88, No. 2 -Apr. – Jun., 1968-, pp. 342-344
[16] Come ci è noto da scoperte di monete sia recanti caratteri parti che caratteri indiani e dalle iscrizioni di Takht-i-Bahi, in cui si certifica che un re Gunduphara avesse assunto il potere nella regione intorno al 20 d.C. e quindi potesse essere regnante nel 46 a.C.
[17] Cfr. R. Fleet, “Journal of Royal Asiatic Society”, Londra, 1905, p.235
[18] Cfr. Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, XIII, 12
[19] Riguardo alla storia religiosa di Edessa, di Taddeo (o Addai) e alla tradizione del Mandylion, cfr. L. Sudbury, Non per mano d’uomo?, Napoli Boopen, 2007, pgg. 39 ss.
[20] Cfr. Discorso in Vaticano del 27 settembre 2006
[21] Cfr. AA.VV., Ortona, città di San Tommaso, Pescara, Carsa, 2005, passim
[22] Cfr. Gregorio di Tours, De vita patrum, 575 d.C. ca.
[23] Cfr. Cosma Indicopleuste, Topographia Christiana, 550 d.C. ca.
[24] Cfr. Cronache Anglosassoni, 1154 ca.
[25] Cfr. Socrate Scolastico, Historia Ecclesiae, I., IX. 12
[26] Nell’Adversus Haereses
[27] Cfr. Jacopo da Varazze, Legenda aurea, 1264-94

[28] Databile tra il 250 ed il 300 d.C.
[29] Cfr. Pistis Sophia, I, 43
[30] Come sostenuto, ad esempio da T. Bushby, The Bible Fraud, Chicago, Joshua Books, 2005 e per quanto in più punti del Vangelo si parli di un Giuda tra i fratelli di Gesù.
[31] Cfr. M.Pincherle, Il Quinto Vangelo, Ancona, Filelfo, 1983, pgg. 5 ss.
[32] Nel senso etimologico di “sun-pathos”, “soffrire insieme”, “sentire insieme”
[33] Una comunanza che, ben lungi dall’essere meramente “di sangue”, si fa ben più profonda, di anima, cosicchè non stupirebbe più di tanto se realmente, come sostenuto da alcuni, Gesù il Cristo e Giuda il Gemello del Cristo riposassero in una stessa tomba a Talpiot (cfr. S. Jacobovici, C. Pellegrino, The Jesus Family Tomb: The Discovery, the Investigation, and the Evidence That Could Change History, New York, HarperOne, 2007, passim), se non sapessimo che, oggettivamente e storicamente, le vicende del corpo di Tommaso sono state ben differenti.